Giorgetti, la (nuova) linea sulle nomine: entro martedì bisogna decidere sul comandante della Guardia di Finanza

Pnrr, a capo della nuova struttura arriva il magistrato della Corte dei Conti Manfredi Selvaggi

di Redazione Economia

Il tempo stringe

Il solo fatto evidente è che almeno parte del pasticcio è fatta, se non altro perché è improbabile che Meloni riesca entro martedì a metà giornata a incontrare tutti i candidati. Non sarà facile a questo punto evitare un interim al vertice del corpo più delicato delle forze di polizia giudiziaria. Resta da capire come abbia potuto il governo arrivare a questo punto, quasi un mese dopo la nomina di Zafarana all’Eni. E perché proprio qui Giorgetti abbia tirato una riga a tutela della sua prerogativa — indiscutibile — di avere un comandante della Guardia di Finanza di sua fiducia. Il ministro sembra avere l’impressione che subire una nomina caldeggiata da Mantovano, che appunto ha delega ai servizi segreti, concentrerebbe troppi poteri a Palazzo Chigi e eroderebbe il suo ruolo.

L’approccio nuovo

Eppure per Giorgetti questo è un approccio nuovo. Non aveva tirato una riga quando più volte negli ultimi mesi da Palazzo Chigi si è spinto per ridimensionare il ministero dell’Economia su questioni strategiche. Non quando Meloni ha fatto allontanare il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera: il suo successore Riccardo Barbieri Hermitte è apprezzato, anche fuori dall’Italia, ma a Giorgetti stesso e alla struttura del ministero manca Rivera per come ha risolto i dossier più delicati, da Mps a Alitalia. Giorgetti non ha tirato una riga neanche quando di fatto il Dipartimento delle Finanze è diventato un ministero separato dall’Economia, anche fisicamente trasferito da Via XX Settembre a Piazza Mastai, in mano al viceministro Maurizio Leo (di Fratelli d’Italia). E la riga non è stata tracciata neanche quando il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto, d’accordo con Meloni, ha spostato a Palazzo Chigi la gestione nel Piano nazionale di ripresa e dei fondi di coesione: il potere diretto di governo su risorse per circa 300 miliardi ha lasciato il ministero dell’Economia.

Ora però la linea sul terreno appare, su una posizione di potere di polizia finanziaria. È piuttosto chiaro che Giorgetti in questo momento non è sottoposto a pressioni solo da Meloni e da Palazzo Chigi. Lo è anche dal suo partito, la Lega. Forse perché, prima o poi, i nodi vengono al pettine.

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