Il fantasma presidenziale che si aggira per l’Italia

Esempio numero uno: il “premierato forte”. Era già nella riforma costituzionale dell’Uomo di Arcore, bocciata dagli italiani col referendum del 2006. Fu inventata e sperimentata solo in Israele, e fu un totale fallimento. Ci vogliamo riprovare noi, vent’anni dopo? Forse no. Ora torna di moda il premier “sindaco d’Italia”, mutuato dal voto sui sindaci. Ma anche qui, chi e che cosa ne riequilibra attribuzioni e prerogative? Il pericolo è una “democrazia di investitura”, nella quale svetta solo la figura di un premier assoluto e inamovibile, perché sorretto dalla fiducia del popolo, che reclama solo obbedienza e passività.

Esempio numero due: il semipresidenzialismo francese, cui fa riferimento Meloni e già caro al D’Alema del ’98. Ma funziona solo con una legge elettorale pienamente maggioritaria. È questo che vogliono, le tre destre? Se sì, lo dicano. Per ora sembra che il famigerato Porcellum, in fondo, faccia comodo così com’è. E nel frattempo emerge una crescente insofferenza verso tutte le istituzioni “neutrali” o “terze”: dalla magistratura al servizio pubblico radiotelevisivo, dalla Corte costituzionale alle autorità amministrative indipendenti.

Arriviamo così alla seconda questione: il metodo. Aprire un tavolo, e sedersi con le minoranze, è un ottimo proposito. Ma a patto che siano trasparenti le regole di ingaggio. Si discute di un’Assemblea Costituente, che sarebbe la via maestra? Si ipotizza una Commissione Bicamerale, più complicata? Oppure il governo incontra i partiti solo per informarli di cosa farà, com’è successo con le parti sociali, con tanti saluti alle riforme nopartisan? Anche qui: se non si distingue, si pasticcia. Dal discorso programmatico di Meloni par di capire che anche lei – “salvo intese”, come ora si dice quando si approvano i decreti legge privi di testo – è pronta a procedere comunque, a colpi di maggioranza. Sarebbe lo strappo definitivo a un tessuto politico-istituzionale già lacerato da anni di “occasionalismo costituzionale”. Di pseudo-riforme strumentali, congegnate da coalizioni uscenti con l’unico scopo di avvelenare i pozzi per quelle entranti. Di uso congiunturale della Costituzione, trasformata da casa di tutti gli italiani a terreno di scontro tra fazioni, da patto che unisce a strumento che divide.

Piero Calamandrei sosteneva che “quando si scrive la Costituzione i banchi del governo devono restare vuoti”. Ora il governo la vuole riscrivere, mutando la sua maggioranza politica in maggioranza costituzionale, all’insegna del principio del “convivere senza condividere”. Non vogliamo credere che la Sorella d’Italia si spinga a tanto, per blindare il suo percorso leaderistico inaugurato a Palazzo Chigi con quell’impressionante video-show promozionale, tra madonne in preghiera appese alle pareti e ministri sviliti a soprammobili in Sala Consiglio. Si realizzerebbe la più fosca delle profezie, ancora di Sartori, che nel 2009 denunciò “la sottile strategia di conquista dittatoriale delle democrazie”. Una strategia che sviluppa “Costituzioni incostituzionali”. E che, senza dare nell’occhio, ne piccona le fondamenta, le garanzie, le salvaguardie.

LA STAMPA

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