Il Re di Arcore non abdica
La traccia che Berlusconi sviluppa nel suo video, dalla fondazione di Forza Italia ai possibili traguardi per le prossime Europee, rende molto chiaro come vede la sua storia e se stesso, nel passato e nel futuro. Non una vicenda politica ma un’epopea, una saga, la leggenda di Re Artù che riunisce le sparse tribù degli anticomunisti e salva l’Italia da Stalin e da Mao, dall’esproprio della proprietà privata, dagli orrori della terra levata ai contadini e dei milioni di morti per fame dell’holodomor o del Grande Balzo in Avanti. Lo fa scommettendo su gente come lui, gente che viene «dal lavoro, dall’impresa, dalle professioni», e spazza via «loro», quelli che «in maggioranza non hanno mai lavorato». Lo fa perché i cittadini già lo amano, è già simbolo della vittoria col suo Milan, ha regalato «la televisione privata, un film ogni giorno alle signore che stanno a spolverare i mobili e a preparare il pranzo per i figli», e alla sera uno spettacolo per tutte le famiglie «che così stanno a casa tutte insieme». Lo fa perché glielo chiede sua madre in nome dell’educazione che gli ha impartito. Re Artù, ma pure Lorenzo Garrone.
E siccome nessuna saga finisce con un’abdicazione, siccome l’eroe deve combattere fino all’ultimo e fino all’ultimo cercare nuove prove d’onore, Berlusconi ha già in mente le prossime battaglie che non possono certo essere le minuzie della quotidiana attività di governo, immigrati, flat tax, crisi ucraina, presidenzialismo o altri impicci quotidiani tratti dall’agenda della maggioranza. Nella seconda parte del suo intervento vola lontano da ogni ordinaria amministrazione per dipingere il prossimo grande cimento. Le elezioni europee del 2024 come un decisivo Armageddon per costruire l’argine all’impero del male: l’aggressione al Continente dell’imperialismo di Pechino e addirittura una possibile occupazione dopo la quale «potremmo solo andare a scuola di cinese». Ovviamente pure lì c’è una furbizia – sostituire alla concreta e vicina minaccia dell’amico Putin un più esotico allarme – ma un capo si sceglie le battaglie che vuole e dalla platea arriveranno persino applausi (gli ultimi) quando il Cavaliere («naturalmente per assurdo») evoca l’invasione cinese dell’Italia che «non potremmo assolutamente contrastare».
Insomma, abbiamo avuto anche noi, a sorpresa, il nostro Coronation Day, o meglio un Re-Coronation Day. Riguarda un sovrano assai ammaccato, capo di una corte sempre più litigiosa e incasinata, perso in scenari che a tratti appaiono fiabeschi ed irreali, ma tuttavia deciso a resistere nel suo ruolo dominus e supremo sacerdote della «religione laica» (parole sue) che officia da un trentennio. Ora e per sempre, a tempo indeterminato, per tutta la vita, come si conviene ai veri sovrani.
LA STAMPA
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