Calabria, le cosche che uccidono le donne
Nove anni fa, invece, fu ammazzata Ibisse Taoussa, magrebina, uccisa e bruciata nelle campagne di Cassano assieme al pregiudicato locale Giuseppe Iannicelli e al nipotino «Cocò» Campolongo, 3 anni. Un massacro.
Investigatori e inquirenti che indagano sul caso temono un’escalation. Perché in questa fascia di costa calabrese, poche cose restano impunite. E omicidi orfani di reazione. Avvenne, lontano chilometri da qui, nel 2006, a San Luca, casa madre delle cosche della Jonica quando il 25 dicembre fu uccisa sulla porta di casa Maria Strangio. Dinamica identica a quella di Sibari. L’obiettivo dei sicari era il marito Giovanni Luca Nirta. La chiamarono la strage di Natale antesignana, per tempo e per vendetta, della mattanza di Duisburg, macelleria di giovani in terra tedesca (sette morti) che portò la ‘ndrangheta calabrese in mondovisione. Ma proprio i riflettori puntati quasi sempre sulle cosche reggine, vibonesi e crotonesi, hanno lasciato nell’ombra il tandem Forastefano-Abruzzese, l’altra mafia per alcuni di serie B. Errore. «Prevale la regola della ferocia – racconta Arcangelo Badolati, giornalista, scrittore, autore di diversi saggi sull’antimafia calabrese – di una vera e propria supercosca. Che ha superato gli attriti del passato, si è fusa in una struttura unica mafiosamente parlando. Insofferente e intollerante verso qualsiasi tentativo di autonomia criminale». Non solo droga ed estorsioni: «Cercano di impossessarsi di aziende della filiera agroalimentare, settore trainante dell’economia del territorio. Le pesche coltivate in questo lembo di terra – racconta Badolati – finiscono alle multinazionali dei succhi». Nessuno, tranne gli investigatori, sembra accorgersene. Fino al prossimo massacro.
LA STAMPA
Pages: 1 2