Un muro contro muro che elude le priorità (e insegue i miraggi)

di Massimo Franco

Un muro contro muro che elude le priorità (e insegue i miraggi)

Il percorso abbozzato dal governo sulle riforme istituzionali e sulle nomine di organismi che appartengono allo «Stato profondo», come Polizia e Guardia di Finanza, non si può definire incoraggiante. Come minimo, appare pasticciato e poco trasparente. Sulle riforme, si ha l’impressione che la maggioranza guidata da Giorgia Meloni stia facendo di tutto per alimentare le diffidenze e gli istinti peggiori delle opposizioni: cosa che sta puntualmente avvenendo. L’impostazione della destra è quella di evocare il dialogo, salvo aggiungere che se non sarà accettata la sua impostazione cambierà comunque la Costituzione: magari con un referendum. Quella delle sinistre è di fare muro, favorendo un’eventuale forzatura. Sembra quasi che tra le minoranze ci sia una gran voglia di opporsi pregiudizialmente, per poi poter gridare al colpo di mano. E nella coalizione governativa, in modo simmetrico, il calcolo è di ricevere quei rifiuti a priori, per avviare una sorta di fai-da-te costituzionale: con presidenzialismo, premierato e autonomia differenziata come stelle polari. Stelle polari al plurale, perché quando si tratta di passare ai fatti, i tre partiti della maggioranza inseguono obiettivi differenti, quando non contrastanti. E l’idea di una repubblica presidenziale, lungi dall’unire Fdi, Lega e FI, ne accentua le divergenze.

E la sensazione che a questo si possa arrivare non in base a una convinta adesione a un modello di Stato, ma come prodotto di un baratto tra l’autonomia regionale cara alla Lega e l’elezione diretta del presidente della Repubblica accarezzata da Fratelli d’Italia, aggiunge dubbi e perplessità. Ma soprattutto, non è chiaro in base a quale urgenza il tema sia stato fatto rotolare sulla scena dell’attualità, quando incalzano problemi economici, sociali e di rapporti con l’Europa e i mercati finanziari ben più incombenti; senza contare le implicazioni di oltre quattordici mesi di invasione russa dell’Ucraina.

Il miraggio del «potere verticale», capace di scansare tutti gli inciampi della complessità democratica, è ormai pluridecennale, in Italia. E si tratta di un miraggio suggestivo, che incrocia la voglia di semplificazione e di rapidità decisionale di molti governi e, probabilmente, di settori consistenti di opinione pubblica. Ma che permetta di far funzionare meglio le cose è, come minimo, opinabile. Siamo reduci da una riduzione del numero dei parlamentari voluta dai grillini, e assecondata per pavidità da un sistema partitico che temeva di essere travolto dall’ondata iconoclasta del populismo, se avesse resistito. Non pare, tuttavia, che la riforma abbia prodotto grandi risultati. Tra l’altro, è in corso un piccolo grande risarcimento per alcuni di quanti non sono stati eletti, trovando per loro posti in altri gangli dell’amministrazione pubblica.

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