Riforme, la scelta di Meloni: “Premier scelto dal popolo. Avanti da soli se l’opposizione non ci sta”
Il voto chiamato a confermare una riforma costituzionale porta con sé gli spettri di quelle prove in grado di disarcionare anche i premier che godano del consenso più forte. «Il referendum? È il bello della democrazia – dice Salvini ostentando una certa sicurezza –. Se qualcuno continuerà a dire “no” a ogni proposta, allora saranno gli italiani a metterci il timbro». Ma è evidente che arrivare a un referendum con le opposizioni unite e l’opinione pubblica spaccata, per il governo rischia di trasformarsi in una corsa a tutta velocità con i freni rotti. Può andare bene come andare malissimo. Per questo, il premierato sarà il punto di partenza, ma non necessariamente quello d’arrivo.
Se la parola d’ordine è «stabilità», allora si devono lasciare aperte almeno le porte che conducono a un rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio, con la revoca dei ministri e l’introduzione della sfiducia costruttiva. Come rivela una fonte molto vicina a Meloni, è la strada che comporterebbe meno complicazioni, e sarebbe più digeribile dalle opposizioni e dai cittadini. È anche vero, però, che assomiglia tantissimo alla controproposta del Pd, e che non dispiace nemmeno ai Cinque stelle: rimodellare i poteri del premier sul modello del cancellierato tedesco. Intorno alle altre opzioni il terreno è già minato. Potrebbe quindi essere davvero questo il compromesso finale? Lasciare l’attuale forma di governo parlamentare e consegnare, semplicemente, al presidente del Consiglio più poteri. A destra è un’ipotesi che non vogliono scartare. La stessa Casellati, durante le consultazioni con i partiti avvenute nei primi mesi dell’anno, aveva promesso che «il governo farà tutti gli sforzi per arrivare a una soluzione condivisa». Così da evitare un altro referendum suicida come fu quello del governo Renzi. E trovare invece qualcuno, come lo stesso leader di Iv, che sia disposto a trasformarla – con un tocco di generosa interpretazione – in una riforma «condivisa».
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