Mes, che cos’è e a chi serve. Perché l’Italia non lo ratifica e la Germania si vendica
Chi lo ha usato
Il caso scuola è quello della Grecia. Per dieci anni, tra il 2001 e il 2010, il costante aumento della spesa pubblica, la diminuzione delle entrate fiscali e il calo di competitività gonfiano il debito greco a tal punto che Atene non è più in grado di rifinanziarlo e rischia di uscire dall’eurozona. Chiede aiuto e Bruxelles glielo concede a tre riprese 2010-2013, 2012-2014 e 2015-2018, varando il più grande pacchetto di assistenza finanziaria nella sua storia: 203,8 miliardi da restituire entro il 2060. Il 40% degli aiuti viene assorbito dal debito pubblico e il resto va ricapitalizzare le banche e ridurre i crediti deteriorati. La condizione è quella di approvare riforme per rafforzare crescita, garantire la sostenibilità fiscale; incrementare l’efficienza di pubblica amministrazione e sistema giudiziario. Che si traducono in misure durissime: riduzione dei salari del 22%, aumento dell’età pensionabile (solo il 58% dei lavoratori andava in pensione fra i 58 e i 61 anni, gli altri molto prima). Taglio di benefit e tredicesime, aumento dell’imposizione fiscale, taglio del 30% della spesa pubblica. E poi un imponente piano di privatizzazione: il porto del Pireo è ora in mani cinesi e 20 aeroporti in mani tedesche. Sta di fatto che dopo la cura da cavallo, dal 2017 la Grecia è tornata a crescere. Il Mes oggi detiene il 50% del debito pubblico greco. Fra il 2010 e 2013 anche l’Irlanda riceve 40,2 miliardi di euro per sostenere il sistema bancario colpito da gravi perdine dopo il crollo del mercato immobiliare nel 2007. Fra il 2011-2014 al Portogallo vanno 50,3 miliardi, la maggior parte a finanziare il bilancio e a ricapitalizzare le banche. La Spagna accede al Mes per 18 mesi tra il 2012 e il 2013 per 41,3 miliardi di euro per ristrutturare il settore bancario in crisi dopo lo scoppio della bolla immobiliare e la recessione economica del 2011. Cipro riceve 6,3 miliardi tra il 2013 e il 2016, per far fronte alla crisi e alle perdite finanziarie. Il Paese avvia riforme per risolvere le debolezze strutturali della propria economia, legata a quella greca, e alla fine del periodo si avvia una solida ripresa. Dal 2016 nessuno dei Paesi aderenti al Mes ha più chiesto prestiti.
L’anno della riforma
Il 27 gennaio 2021 i Paesi dell’eurozona firmano un’intesa per riformare il Mes. Previste quattro novità: 1) la verifica preliminare della capacità di ripagare il prestito; 2) un ruolo attivo del Mes nell’erogazione dell’assistenza finanziaria e nel successivo monitoraggio. 3) Diventano più stringenti i criteri per la concessione delle linee di credito precauzionali, in sostanza possono essere utilizzate solo dai Paesi con i conti a posto, ma in momentanea difficoltà. 4) Può fare da paracadute al Fondo di risoluzione unico, quello che corre in soccorso alle banche in difficoltà, per aiutarlo ad assorbire le perdite in modo che non ricadano su tutti i contribuenti. Il Fondo è alimentato dai contributi versati da tutte le banche dell’area dell’euro e, secondo un programma che andrà a pieno regime nel 2024, raggiungerà i 60 miliardi di euro. Lo scopo è proprio quello di contenere i rischi di contagio di eventuali crisi bancarie (ed evitare che i correntisti in massa vadano a ritirare i soldi). Quello che la riforma non cambia è la responsabilità della Commissione Europea nella valutazione complessiva della situazione economica dei Paesi e la loro posizione rispetto alle regole del Patto di stabilità.
Perché l’Italia non ratifica
L’intesa è firmata anche l’Italia. A Palazzo Chigi c’è Giuseppe Conte e un mese dopo arriva Mario Draghi, ma la ratifica non giungerà mai in Parlamento perché i parlamentari dei Cinque Stelle, che sono la maggioranza e da sempre contrari al Mes, fanno muro. A ottobre 2022 diventa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, quando era all’opposizione, si diceva pronta, insieme a Fratelli d’Italia, «a respingere con tutte le forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia». A novembre il neo ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti, invece, assicura il sì alla riforma del Mes: «Mi attesto sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte». Ma passano sette mesi e non succede nulla, mentre due proposte di legge per la ratifica della riforma (a firma Pd e Italia Viva) rimangono ferme in commissione Esteri della Camera.
A novembre il neo ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti (…) assicura il sì alla riforma del Mes: «Mi attesto sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte». Ma passano sette mesi e non succede nulla (…)
Meloni: la carta del Mes giocata su altri tavoli
L’Italia è l’unico fra i 20 Paesi dell’Eurozona (a gennaio è entrata anche la Croazia) a non aver ratificato le modifiche e finché non lo fa, il Mes non può diventare operativo. Bruxelles preme: le crisi bancarie negli Usa e in Svizzera hanno alzato la soglia d’allarme anche in Europa. Il tira e molla d’Italia non piace certamente alla Germani, il primo Paese che potrebbe aver fretta di chiedere l’utilizzo del Mes, visto che Deutsche Bank è esposta per 42 miliardi di prodotti finanziari quasi tutti rischiosi. La posizione del governo Meloni però non cambia: la richiesta è quella di subordinare la modifica del Mes alla revisione di altre norme europee. Nell’agenda del governo italiano, lo ha detto il ministro Giorgetti, ci sono «il completamento dell’Unione bancaria e l’Unione dei Mercati dei Capitali». La prima è il trasferimento della vigilanza sulle banche dalle autorità nazionali a quelle europee e l’Italia vorrebbe un sistema europeo di assicurazione dei depositi. La seconda la creazione di un mercato unico europeo dei capitali, superando le normative nazionali, in modo che a livello europeo si semplifichi la circolazione dei capitali. E poi, dice sempre Giorgetti, «l’Italia vuole una semplificazione della normativa europea in materia di aiuti di Stato» e anche norme più flessibili sul patto di stabilità che, dopo una sospensione di 3 anni causa pandemia, a gennaio 2024 sarà ripristinato. Il governo italiano punta rivedere le regole per gli Stati con un debito alto (e qui noi siamo i sorvegliati speciali). E sul patto di stabilità, in zona Cesarini, entra a gamba tesa la Germania: vuole che il rapporto debito-pil si riduca ridursi dell1% ogni anno. E questo crea un problema all’Italia. Una materia infiammabile che entrerà nel vivo in autunno. dataroom@corriere.it
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