Perché la premier adesso è più sola
Marcello Sorgi
Nel giro di consultazioni con le opposizioni sulle riforme istituzionali, convocato solennemente alla Camera, e a cui ha dedicato quasi un’intera giornata di lavoro, Meloni non ha registrato la disponibilità al confronto che cercava e sarebbe necessaria su una materia così delicata. Ci sono stati due “no” pesanti da parte di Pd e 5 stelle. Un “sì” pronto a trasformarsi in un “ni” del Terzo Polo. E inatteso, proveniente dalla Lega, un richiamo alla lettera del programma con cui il centrodestra ha vinto le elezioni, che prevedeva il presidenzialismo e non altre ipotesi, come semi presidenzialismo o premierato forte, che la premier ha illustrato ai suoi interlocutori. Il punto che accomuna le varie proposte e motiva obiezioni, perplessità e dubbiose aperture è proprio l’elezione diretta: del Capo dello Stato o del presidente del Consiglio non fa differenza. La sensazione infatti è che introducendo un voto popolare sui vertici dello Stato non si andrebbe a una modifica costituzionale mirata a risolvere problemi annosi come l’instabilità dei governi. Ma a capovolgere il fondamento della Carta: la centralità del Parlamento.
Questo problema si manifesterebbe più forte nel caso del presidenzialismo, cioè di un Presidente della Repubblica all’americana che diverrebbe anche capo del governo, cancellando il ruolo di garanzia della Costituzione e di rappresentanza dell’unità del Paese affidato al Capo dello Stato all’italiana, com’è adesso, votato dalle Camere in seduta comune e integrate dai rappresentanti delle Regioni. Un Presidente dichiaratamente di parte, inoltre, non potrebbe nominare giudici costituzionali o senatori a vita, solo per fare due esempi. A meno, appunto, di andare a uno stravolgimento dell’impianto costituzionale.
Né questi problemi verrebbero meno se si adottasse la formula semi presidenziale alla francese, in cui il Presidente sceglie un primo ministro che si trasforma, in pratica, in un suo segretario. E com’è accaduto di recente, con la riforma delle pensioni che sta ancora provocando grandi proteste di piazza in Francia, può decidere per decreto senza sottoporsi al voto del Parlamento. L’unico vero bilanciamento in quel tipo di sistema è dato dalla possibilità che gli elettori formino due maggioranze diverse per la scelta del Presidente e per quella della maggioranza parlamentare, costringendo il Capo dello Stato a una “coabitazione” che, s’è visto, finisce per ingolfare il funzionamento dello Stato.
Inoltre anche la formula del premier eletto direttamente – diversa da quella tedesca in cui il nome del candidato è soltanto indicato sulla scheda e il governo nasce dalle trattative tra i gruppi parlamentari -, sperimentata solo per qualche anno in Israele, in Italia aprirebbe una questione che un costituzionalista del peso di Enzo Cheli ha indicato per tempo ed è ancora senza soluzione. E cioè: se il presidente del Consiglio è votato dagli elettori, che lo eleggeranno con oltre dieci milioni di voti, presumibilmente e stando agli attuali livelli di affluenza al voto, come potrebbe essere sfiduciato da un centinaio di senatori e un paio di centinaia di deputati? Si genererebbe uno squilibrio, tra il peso dell’elettorato e quello del Parlamento, destinato a pesare sul lavoro dell’eventuale successore del premier caduto in una crisi parlamentare, e a spingerlo verso lo scioglimento delle Camere.
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