Perché la premier adesso è più sola
Sono solo alcuni dettagli, o incognite se si preferisce, delle proposte illustrate ieri da Meloni. La quale, ovviamente, si è tenuta sulle generali, proprio perché sapeva di avere poche chance di essere ascoltata. Da leader politica dotata di un fiuto che tutti le riconoscono, la presidente del Consiglio ha capito che Conte aveva in mente solo un rinvio, quando ha insistito sul ritorno a una Bicamerale, come quelle in cui per tre volte, fino al 1997, si svolsero i precedenti dibattiti sulle riforme, prima di convincere Berlusconi (2006) e Renzi (2014) ad agire in prima persona. E quando ha ascoltato Schlein parlare di riforma elettorale o di rafforzamento dei referendum, s’è ricordata la regola generale della politica che dice che allargare molto il discorso spesso nasconde il tentativo di dilazionare. Tal che la sorpresa peggiore della giornata sono stati gli accenni di perplessità della Lega, che insistendo solo sul presidenzialismo intende ridurle i margini di manovra. La conclusione è che sulla Grande Riforma Meloni è sola. E tocca a lei decidere se incamminarsi per il sentiero impervio che ha portato in fondo al burrone una lunga fila di suoi predecessori.
LA STAMPA
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