Meloni a Praga compatta i sovranisti: si accende la sfida per le Europee 2024

Ilario Lombardo

DALL’INVIATO A PRAGA. Ci sono coincidenze che danno più sapore al racconto. Giorgia Meloni è in visita a Praga, a colloquio con uno dei suoi principali alleati nella sempre più ampia famiglia dei conservatori, quando dalla Francia e dalla Spagna, governate da liberali in un caso e socialisti nell’altro, arrivano due pesantissime critiche alle politiche del governo della destra italiana, su migranti e lavoro.

L’incontro con Petr Fiala è appena terminato. Meloni saluta il primo ministro ceco, leader del Partito democratico civico (Ods), membro dell’Ecr, il gruppo di Bruxelles guidato dalla leader di Fratelli d’Italia. Per quasi due ore hanno parlato dei tanti punti che le loro agende hanno in comune. A partire dalla svolta che entrambi si attendono nella gestione dei rimpatri e della cosiddetta “dimensione esterna”, nel prossimo Consiglio europeo di fine giugno. Nemmeno un cenno a Emmanuel Macron. Meloni ha però voglia di parlare. Di rispondere. E così nel giardino del palazzo del governo che si affaccia sulla Moldova, riapre la portiera della macchina per commentare con tre quotidiani italiani, tra cui La Stampa, l’ennesimo attacco arrivato dalla Francia: «Usare altri governi per regolare i conti interni non mi sembra una cosa proprio ideale né sul piano della politica né su quello del galateo». I casi non stanno diventando tanti?, le chiediamo. Meloni prende un secondo per rispondere, non nega l’escalation di commenti negativi rivolti a lei e alle scelte prese dal suo governo da uomini di fiducia del presidente francese: «Evidentemente c’è qualche problema sul piano interno, di tenuta del consenso. Non mi ci voglio infilare. Capisco le difficoltà». L’irritazione, se c’è, è ben mascherata. Meloni mostra tranquillità, e fa leva su una particolare visione diplomatica dei rapporti tra gli alleati. Stéphane Séjourné, autore dell’ultima bordata ai sovranisti italiani, è il portavoce di Renaissance, il partito di Macron: un macroniano di primo piano, certo, ma comunque non un esponente di governo come lo è invece Gérald Darmanin, il ministro dell’Interno che meno di una settimana fa ha riaperto la crisi con Roma, sempre sui migranti. Con Macron, Meloni non ha avuto contatti. Nessuna chiamata, neanche un messaggio. Dice di non averne sentito la necessità: «A me interessa quello che dicono gli italiani del lavoro che faccio». Poco dopo la scena si replicherà di fronte alle telecamere, nel castello di Praga, un attimo prima del secondo incontro della giornata, quello con il presidente della Repubblica ceca Petr Pavel.

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