La battaglia per la libertà di chi muore anche per noi

La stessa cosa vale per gli “imperi”. America e Cina sono in movimento. Gli incontri a Vienna tra il consigliere alla Sicurezza di Washington Jake Sullivan e il capo della diplomazia cinese Wang Yi, in vista di un ipotetico faccia a faccia tra Biden e Xi Jinping, rappresentano una novità per la crisi ucraina. Così come la missione dell’inviato speciale di Pechino Li Hui, che da domani visiterà le capitali europee in cerca di “una soluzione politica” al conflitto (come titolava l’Osservatore romano di ieri). Ma agli uni e agli altri, di nuovo, Zelensky manda a dire “non servono chiacchiere, serve un piano concreto, venite a Kiev, parlatene con noi”. Un modo elegante per confermare che il famoso “piano in 12 punti” elaborato dagli strateghi del Celeste Impero era poco più che un bluff. Ancora una volta, la sensazione è che i due Giganti non abbiano troppa fretta di far finire la guerra. Non ha fretta l’America, che mentre Putin si dissangua e l’Europa è sotto pressione, si può dedicare al suo rilancio industriale e tecnologico. Non ha fretta la Cina, che mentre la Russia combatte Zelensky e l’America lotta contro l’inflazione, si può concentrare sull’Indo-Pacifico.

Resterebbe l’Europa, che in questo scenario bellicista è spettatore impotente, quando non addirittura silente. L’Italia, con la giornata di ieri, porta a casa un risultato forse più importante in politica interna che in politica estera. Giorgia Meloni incassa i ringraziamenti e gli appalti per la ricostruzione ucraina, ma soprattutto consolida la sua assoluta lealtà euroatlantica al fianco “dell’amico Volodymyr”. Su questa linea del fronte ricompatta l’intera coalizione, a partire da Matteo Salvini, che non a caso a Palazzo Chigi non c’era e che finalmente ha smesso di costruire ponti con Mosca per impegnarsi sul Ponte di Messina. Un discreto viatico per la premier, in vista del tanto atteso viaggio alla Casa Bianca, previsto per i primi di luglio. Quanto agli altri partner, Macron le ha provate tutte per dimostrare al mondo che “la pace c’est moi”, ma non ce l’ha fatta. Oggi capiremo cosa dirà Scholz, ma anche qui c’è poco da sperare, vista la cautela tedesca nella gestione delle relazioni economiche con i russi. Più che un entusiastico appoggio formale all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione, gli Stati membri divisi e rissosi non riescono a fare. Meno che mai se si parla di aprire le porte della Nato, come chiede lo stesso Zelensky. La sola cosa che ancora possiamo fare è continuare a garantire il sostegno politico e militare al governo di Kiev, che peraltro, per bocca del consigliere Mykhailo Podolyak, già fa sapere qual è il prossimo ordinativo: «Ciò di cui l’Ucraina ha più bisogno oggi sono missili a lungo raggio, aerei d’attacco e da combattimento, grandi quantità di proiettili e sistemi di difesa antiaerei». E questo è quanto.

Alla fine ha ragione Edgar Morin. Siamo “giocattoli inconsapevoli della Storia”. Siamo entrati nella “crisi dell’Umanità”. Davanti alla guerra abbiamo perso la coscienza dell’orrore e dell’errore, dell’inatteso e dell’imprevedibile. Dimentichiamo quello che invece ci ricorda uno dei più grandi pensatori del nostro tempo, e cioè che «ogni guerra racchiude in sé manicheismo, propaganda unilaterale, isteria bellicosa, “spionite”, menzogna, preparazione di armi sempre più mortali» (“Di guerra in guerra”, Raffaello Cortina Editore). Ogni guerra. Anche quella in cui esistono “un aggressore e un aggredito”, come ricordiamo ogni volta, perché è giusto e perché altrimenti scatta l’anatema che colpisce i dannati peccatori di russofilia. E dunque anche la sporca, infame guerra di Putin contro un altro Stato libero e sovrano, invaso in nome di Eurasia, l’Atlantide neo-zarista sognata e inseguita dall’Uomo del Cremlino. E anche quella sacrosanta di Zelensky, che ci chiama tutti in trincea “fino alla vittoria”. Ovunque, dove divampa il fuoco degli eserciti, regnano manicheismi e armi sempre più mortali. Perché per quanto giusta – cito ancora Morin – anche «la guerra del Bene comporta in sé del Male». Il Male, nella guerra del Bene ucraina, è nella guerra in sé che non si ferma e riproduce se stessa, con l’aumento simultaneo della potenza contrapposta, la spirale degli odi, la radicalizzazione del conflitto che può condurci «all’esito più tragico per l’intera umanità».

Morin non è un maggiordomo dello Zar. Non ha interessi geo-strategici nascosti. Non ha rendite energetiche segrete o mazzette petrolifere accreditate sui conti cifrati delle Cayman. In una parola: non è un putinversteher colpevole di intelligenza col nemico, come piace a noi svilire chiunque osi azzardare un pensiero critico. È un filosofo che coltiva il dubbio, come dovrebbe fare l’Uomo Occidentale, che aveva escluso la guerra dai suoi orizzonti e invece adesso se la ritrova in casa. Quell’Uomo Occidentale che invece, oggi, arriva al punto da ritirare l’invito per la lectio di apertura della Fiera del Libro di Francoforte a un grande scienziato come Carlo Rovelli, “reo” di aver parlato di pace al Concertone del Primo Maggio, e ora vittima di un neo-maccartismo insopportabile.

Noi siamo con Zelensky, e questo non può essere e non sarà mai in discussione. I suoi soldati, in questa nuova era del ferro, combattono e muoiono anche per noi. Proprio come fece Jacques Decour, resistente comunista e traduttore dello scrittore tedesco Hans Carossa, che ai nazisti che lo fucilavano gridò in faccia le sue ultime parole: “Imbecilli, è per voi che muoio!”. L’Ucraina, ottant’anni dopo, ci sta gridando la stessa cosa. Noi ne siamo consapevoli. E forse, pur non avendo il coraggio di confessarlo, ci sentiamo in colpa. Anche per questo vogliamo che finisca.

LA STAMPA

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