Meloni a Hiroshima, il monito del G7 dalla città della bomba

ILARIO LOMBARDO

DALL’INVIATO A HIROSHIMA. Giorgia Meloni è atterrata alle due di notte, dopo uno scalo tecnico ad Anchorage, in Alaska. Terminato il Consiglio d’Europa in Islanda, l’aereo della premier ha fatto rotta verso il Giappone. È la prima dei leader del G7 ad arrivare a Hiroshima, per un summit che sarà in gran parte dedicato alla guerra in Ucraina e agli ulteriori strumenti da mettere in campo per contrastare l’aggressione del presidente russo Vladimir Putin. Nel secondo anno del conflitto, scegliere la città del sud del Giappone per ospitare il vertice annuale dei sette grandi ha ovviamente un significato molto simbolico. Qui la bomba atomica ha messo un punto alla storia. Qui il padrone di casa, Fumio Kishida, intende lanciare un avvertimento contro ogni opzione nucleare. Disarmo e non proliferazione saranno i primi punti di discussione dei tre giorni di summit.

Meloni avrà oggi pomeriggio un colloquio con il primo ministro giapponese. Dovrebbe essere solo il primo dei bilaterali previsti in agenda. Molto importante sarà un eventuale incontro con Emmanuel Macron, dopo le infinite tensioni di questi mesi e gli ultimi attacchi sulle politiche migratorie della destra italiana del ministro dell’Interno francese Gerard Darmanin, mai smentito finora dal numero uno dell’Eliseo. La squadra diplomatica di Palazzo Chigi sta lavorando anche a un bilaterale con il presidente americano Joe Biden. Sul tavolo quasi sicuramente ci saranno i rapporti dell’Italia e degli alleati europei con la Cina, un tema che farà da sfondo all’intero vertice, concentrandosi soprattutto sugli squilibri commerciali con il gigante asiatico e i venti di guerra su Taiwan. Non è invece prevista, al momento, una discussione sulla Via della Seta, gli accordi con Pechino che gli Usa vorrebbero che l’Italia annullasse (per i rischi riguardanti la sicurezza interna ai Paesi alleati).

Sicuramente però, stando alle indiscrezioni sui dossier, si discuterà di come affrancarsi dalla dipendenza cinese in determinati campi strategici, sulle materie prime su cui Pechino ha quasi il monopolio, e nella condivisione della tecnologia militare.

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