«Anche l’acqua ad uso potabile in Lombardia è contaminata dai Pfas»: l’indagine di Greenpeace Italia

di Silvia Morosi

La mappa delle sostanze chimiche artificiali altamente persistenti negli acquedotti lombardi. Maglia nera  alla provincia di Lodi. A Milano poco meno di un campione su tre è  risultato contaminato

Attivisti di Greenpeace a Venezia per chiedere alle autorità locali di intervenire contro la presenza nell'ambiente dei Pfas
La protesta di Greenpeace Italia contro l’uso di Pfas in Veneto (2017)

Introdotte sul mercato globale a metà del secolo scorso, hanno trovato ampia applicazione perché idrorepellenti, stabili e resistenti alle alte temperature. Una volta disperse in natura, però, sono estremamente resistenti, tanto da essere state definite anche “inquinanti eterni”. I PFAS – acronimo inglese di PerFluorinated Alkylated Substances – sono infatti sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, che contengono almeno un atomo di carbonio. Una nuova indagine di Greenpeace Italia – visionata in anteprima dal Corriere della Sera – ha mostrato la loro presenza anche nelle acque lombarde destinate al consumo umano. Con conseguenti problemi per la salute. Lo studio è stato condotto grazie a numerose richieste di accesso agli atti (FOIA) indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e agli enti gestori delle acque potabili lombarde: dei circa 4mila campioni analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19% del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di PFAS. Un inquinamento che rischia di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari. Si può dire, quindi, con certezza che sono migliaia i cittadini lombardi che, dal 2018, hanno inconsapevolmente bevuto acqua contenente PFAS, usata anche per cucinare o irrigare campi e giardini.

LA STORIA E I COSTI – «L’indagine condotta in Lombardia svela l’esistenza di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo», spiega al Corriere Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. «Dai cosmetici ai capi di abbigliamento impermeabili, dalle padelle antiaderenti agli imballaggi in carta, i PFAS sono un ampio gruppo gruppo di sostanze chimiche di sintesi – secondo alcuni sono oltre 10mila – impiegate dagli anni ’40 del Novecento in vari comparti industriali. Una delle primissime applicazioni fu il progetto Manhattan, quello che poi portò alla creazione della bomba atomica. Da allora vengono utilizzate ovunque, tanto che studi scientifici recenti ci dicono che per queste sostanze è stato superato il corrispondente limite planetario. Perché si ritrovano, ormai, in ogni angolo del globo: dalle calotte polari al latte materno delle orse, dal nostro cibo, nell’aria che respiriamo e anche nella pioggia. L’inquinamento generato è, insomma, fuori controllo», aggiunge, ricordando come l’esposizione è stata associata a una serie di effetti negativi sulla salute (problemi alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo, …). «Oggi sappiamo che, secondo le stime di alcuni enti del Nord Europa, l’inazione politica ha dei costi ambientali e sanitari stimabili per tutti i Paesi europei, pari a 52-84 miliardi di euro l’anno. Costi a carico della collettività, destinati ad aumentare se queste sostanze continuano a essere utilizzate».

LA SITUAZIONE IN LOMBARDIA – Greenpeace Italia ha fornito una mappatura (disponibile su questo sito) per controllare gli esiti delle indagini e verificare quanti campioni di acqua a uso potabile non rispettano i valori limite più cautelativi proposti in altre nazioni come negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli vigenti in Danimarca (il 13,4%). Il record negativo è detenuto dalla provincia di Lodi, con l’84,8% dei campioni risultato positivo alla presenza di PFAS; seguono le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2%. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive.

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