Pnrr in frenata libera: bloccata la rata da 19 miliardi, a rischio anche quella di giugno

di Milena Gabanelli

Per gestire i 192 miliardi del Pnrr ci vuole un fisico bestiale! Non puoi permetterti di rallentare: le scadenze di rendicontazione del piano industriale sottoscritto con la Commissione Ue sono ogni sei mesi e solo se hai fatto quello che hai promesso la Commissione paga. Significa che ogni giorno la cabina di regia di Palazzo Chigi deve capire se gli ingranaggi che coinvolgono ministeri, Comuni e Regioni funzionano. La struttura Draghi nasce con tre livelli di controllo: quella tecnica di Palazzo Chigi che si interfaccia con quella del Mef e dei ministeri. Il punto di contatto con Bruxelles lo tiene Chigi e il Mef. A fine ottobre 2022 cambia il governo e, come è naturale, cambiando i ministri c’è un periodo di stallo. Il 10 novembre 2022 Giorgia Meloni conferisce a Raffaele Fitto l’incarico di ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr. La decisione è di accentrare tutto in una nuova «Struttura di Missione» in capo a Fitto. Il piano è da correggere perché nel corso dell’anno sono aumentati i prezzi dell’energia, è esplosa l’inflazione e ci sono gli inevitabili aggiustamenti in corso d’opera. La «Struttura di Missione» però è una scatola vuota, e per diventare operativa ci vuole un decreto che viene emanato solo il 26 aprile. Intanto cosa succede in questi sei mesi?

Il Piano rallenta

La segreteria tecnica e l’ufficio centrale della Ragioneria dello Stato – che danno la tabella di marcia, coordinano e controllano l’avanzamento lavori dei ministeri, delle Regioni e si interfacciano con la Commissione – procedono. Le strutture tecniche dei ministeri, però, entrano in una sorta di limbo: le persone non sanno se saranno riconfermate e si cerca di capire che aria tira, anche perché sul piano della comunicazione il nuovo governo mette le mani avanti. Il ministro Fitto a dicembre, davanti alla Commissione Politiche dell’Unione Europea, dichiara: «l’obiettivo di spesa per quest’anno non sarà assolutamente raggiunto». Giorgia Meloni il 4 dicembre: «È un dato incontrovertibile che dei 55 obiettivi da centrare entro fine anno a noi ne sono stati lasciati trenta». Informazione scorretta: mancavano dettagli burocratici e poche misure richiedevano effettivamente un’accelerazione, che c’è stata. E infatti a fine dicembre il Mef manda puntualmente la rendicontazione a Bruxelles per il pagamento della terza rata che vale 19 miliardi di euro. Per prassi la Commissione si prende circa due mesi di tempo per la verifica: i progetti rispettano le linee guida? I lavori procedono secondo le tappe stabilite? Le riforme vanno avanti di pari passo?

19 miliardi ancora bloccati

Si apre la discussione sui correttivi da apportare: nel piano di riqualificazione urbana i Comuni di Firenze e Venezia infilano gli stadi. I ministeri competenti sono il Mef e ministero dell’interno che avrebbero dovuto aprire i documenti e dire: «alt, questo non c’entra nulla con la rigenerazione urbana». Non lo hanno fatto, e quando la Commissione Ue chiede conto la risposta è: «discrezionalità politica». Ovviamente inaccettabile. C’è da trattare sul decreto concorrenza: per fare investimenti strutturali sui porti, e quindi migliorare la concorrenza e le finanze pubbliche, le concessioni non devono durare 60 anni, ma va rispettato un limite proporzionato all’investimento. C’è da discutere sul teleriscaldamento: i progetti rinnovabili collegati alla rete gas potrebbero essere inammissibili, anche se il bando era stato già prediscusso e valido. La Corte dei Conti svolge controlli in parallelo che, a sua volta, generano incomprensioni e ritardi. Molte di queste questioni non sono gestite bene: sostituto il capo dello staff tecnico al ministero dei Trasporti, dello Sviluppo Economico e della Transizione ecologica (diventato nel frattempo ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica). Solo questi tre ministeri gestiscono più di 90 miliardi e 60 programmi di investimento che i nuovi arrivati non conoscono e devono studiarsi. Sta di fatto che, fra aggiustamenti e chiarimenti, il tira e molla con Bruxelles va avanti da 4 mesi e ad oggi la rata da 19 miliardi non è ancora sbloccata.

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