Avvocati giù, informatici su; l’AI mette a rischio 300 milioni di posti di lavoro

di Filippo Santelli

La vera questione non è “se”. Né “quando”. Sta già succedendo: l’intelligenza artificiale è entrata in ufficio e lavora in mezzo a noi. A volte insieme agli uomini, un moltiplicatore di produttività. A volte — c’è chi teme sempre di più — al loro posto. «Fra qualche tempo diremo che il 2023 è stato l’inizio della quarta rivoluzione industriale», è sicuro Massimo Ruffolo, ricercatore del Cnr e fondatore di Altilia, azienda che sviluppa algoritmi per automatizzare l’analisi dei documenti. Per esempio le centinaia di fogli con cui le banche valutano i crediti difficili: in un paio d’ore l’AI spreme informazioni su cui un bancario Sapiens sapiens faticherebbe giorni. Ma oltre che estrarre, l’AI ragiona sempre meglio. E ChatGPT ha rivelato che adesso sa pure generare parole e immagini. Il mestiere di impiegati e professionisti, programmatori e illustratori. «È uno strumento che libera il tempo e la creatività delle persone, ma certo, per fare le stesse operazioni ci vorrà meno forza lavoro», dice Ruffolo. Anche le prime multinazionali hanno iniziato ad ammetterlo: entro il 2030 British Telecom sostituirà 10 mila dipendenti con l’AI; Ibm ne rimpiazzerà 7.800.

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di Filippo Santelli 26 Maggio 2023

300 milioni di posti di lavoro a rischio

È iniziata quindi. E se davvero l’AI si confermerà una tecnologia generale, come la macchina a vapore o il Pc, la trasformazione del lavoro non potrà che accelerare. Sono arrivate le prime stime, con tutti i caveat del caso. La banca d’affari Goldman Sachs prevede che l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a livello globale sarà esposto all’automazione. Mentre OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGPT, dice che due lavoratori su dieci vedranno rivoluzionata almeno metà dei loro compiti.

La vera questione, allora, è “come”. E il primo dato è che l’automazione si sposta dalle fabbriche agli uffici, dalle tute blu ai colletti bianchi. Entriamo in un call center, uno dei settori dove i chatbot — i programmi in grado di chiacchierare — sono arrivati prima. «Con ChatGPT c’è stato un salto pazzesco, ancora tutto da scoprire, il nostro problema semmai è che tende a dialogare troppo», dice Gianluca Ferranti, capo dell’innovazione globale di Covisian, colosso del settore. Racconta le due facce dell’AI: da un lato supporto al lavoro umano, come quella che suggerisce in tempo reale all’operatore l’impatto di un’azione; dall’altra sostituzione, come l’assistente virtuale nell’e-commerce di una multinazionale del caffè: «C’è sempre la possibilità di rivolgersi a un essere umano, ma con la nuova tecnologia l’interazione viene automatizzata il 10-15% di volte in più». Significa che lì servono meno persone, che Covisian sposta su attività diverse, altre aziende chissà.

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