Fmi boccia le promesse di Meloni: “La flat tax è irrealizzabile. E sulle pensioni serve una stretta”
Fabrizio Goria
Ancora una bocciatura per il governo Meloni. A questo giro è il Fondo monetario internazionale (Fmi) a criticare: nel suo rapporto periodico rimarca che la crescita 2023 sarà sopra le attese, con il Pil a +1,1%, ma che l’inflazione resterà oltre il 2% almeno fino al 2026. Dalla riforma del Fisco al Recovery, passando per il sistema pensionistico e i conti pubblici, sono svariate le fonti di preoccupazione per l’istituzione di Washington. Che chiede più proattività, puntualità ed efficacia all’esecutivo. Il rischio, in un clima di tassi d’interesse crescenti, è quello di trovarsi nelle sabbie mobili. E l’invito è quello di non ricorrere a scorciatoie: «Una tassa sugli extraprofitti delle banche potrebbe avere conseguenze indesiderate». Risponde a distanza il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti: «Stiamo riducendo il debito, come chiesto dagli ispettori del Fmi».
Più ombre che luci. Vero, il Pil italiano ha rimbalzato più delle stime preliminari, ma le criticità restano elevate, secondo il Fmi. «L’attività economica e l’occupazione sono cresciute fortemente nel 2022 grazie all’abile gestione delle forniture di gas da parte delle autorità e al sostegno del welfare fornito in risposta allo choc dei prezzi dell’energia», si sottolinea. Roma crescerà dell’1,1% nel 2023 e nel 2024 per poi accelerare nel 2025, anche grazie al Pnrr, la cui spesa raggiungerà il picco quell’anno. Ma l’attuazione del Recovery dovrà essere «accelerata». Specie a fronte di rincari più poderosi di quanto ipotizzato. L’inflazione di fondo in Italia è destinata a ridursi «gradualmente» ma l’andamento del costo della vita tornerà «all’obiettivo del 2% solo intorno al 2026». Come se non bastasse, pur rimanendo elevato, viene rimarcato, «il rapporto debito pubblico/Pil è diminuito e i prestiti in sofferenza sono rimasti bassi». Tuttavia, a partire dal 2023, «la crescita passerà a una marcia inferiore, mentre l’inflazione core dovrebbe rimanere vischiosa e gli alti tassi di interesse manterranno elevati i rischi del settore finanziario».
Non sono mancate anche ulteriori critiche. «La politica fiscale può aiutare l’economia ad affrontare gli shock proteggendo la sostenibilità delle finanze pubbliche», dicono gli analisti. Dato il debito pubblico ancora elevato, inoltre, «le condizioni di finanziamento più restrittive e la necessità di sostenere la disinflazione, si consiglia di risparmiare opportunisticamente la maggior parte delle entrate impreviste derivanti da sorprese inflazionistiche e modifiche contabili del credito d’imposta». In un contesto del genere, «un piano credibile di riduzione del debito a medio termine attenuerebbe ulteriormente i rischi».
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