Formazione professionale, un paradosso italiano

L’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica ha calcolato che un quinto delle risorse del Pnrr è dedicato alla cura del patrimonio umano (formazione, assunzioni, ammortizzatori, ecc.). E colpisce, nel leggere l’ultima relazione della Corte dei Conti, che il grado di attuazione sia particolarmente basso nella missione 4, ovvero quella dedicata all’istruzione e alla ricerca. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara è fortemente impegnato sul versante dell’adeguamento dell’istruzione tecnico-professionale. Ma è significativo l’incerto destino di una delle riforme più qualificanti della scuola. Quella su reclutamento, formazione e carriere dei docenti (79/2022). Come segnalato da Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, l’obbligo di formazione iniziale e di aggiornamento successivo è rimasto sulla carta, ostaggio della contrapposizione tra i ministeri dell’Istruzione e dell’Università. Il sindacato è contrario all’obbligo di formazione in servizio. Tutto è lasciato alla buona volontà degli insegnanti. Il 2023 è l’anno europeo delle competenze. Ma l’Italia non sembra celebrarlo con grande attenzione. L’obiettivo dell’Unione europea è quello di arrivare nel 2030 (domani mattina) a coinvolgere il 60 per cento degli adulti in attività di formazione, l’80 per cento dei quali con competenze digitali di base. Un cammino arduo. Forse meglio rimboccarci subito le maniche. Anche perché se mancano i capitali ci si può indebitare (ma non più come prima) se invece scarseggiano le competenze non ce le presta nessuno.

CORRIERE.IT

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