Fabio Fazio, l’ultima puntata di Che tempo che fa. Serra: «Topo Gigio di che partito era?»
di Renato Franco
Il conduttore affida il suo pensiero a Michele Serra: «La storia della Rai è fatta di persone e programmi, ma anche di ingerenza della politica»
Sipario. Sigla. Che saluti che fa. Fabio Fazio chiude la sua esperienza in Rai. Ovazione in apertura di programma, lui che si batte la mano sul cuore, gli applausi che non finiscono. I ringraziamenti sono «al pubblico che mi ha sempre seguito», nessuna stoccata alla Rai («sono stati 40 anni bellissimi»), un’unica concessione all’amarezza ma con il sorriso («abbiamo aspettato segnali da Giove e da Marte che non sono arrivati»), allusione al contratto scaduto e non più rinnovato.
Quando c’è Luciana Littizzetto i riferimenti al «divorzio» invece hanno il taglio dell’ironia. La comica si presenta con un carrellino per fare il trasloco: «Dai, che a mezzanotte scatta lo sfratto, i pesci li diamo in comodato d’uso alla Clerici, il tavolo lo vendiamo su Ebay».
Scrive anche una lettera alla Rai: «Non abbiamo superato la crisi del
settimo governo, peccato andare via proprio adesso che qui in portineria
hanno imparato a scrivere il mio cognome. Ringrazio Fabio, l’unico che
se ottiene ottimi risultati gli danno addosso il doppio». Poi il saluto finale con la citazione polemica per Matteo Salvini: «Bello? Ciao».
Quello che davvero Fabio Fazio avrebbe voluto dire sembra affidarlo a Michele Serra,
in «un editoriale» in cui il giornalista spiega che «la storia della
Rai è fatta di persone e programmi, ma anche di ingerenza della
politica». Eccolo il punto, la lottizzazione, il manuale Cencelli che
distribuisce nomine e poltrone. Serra usa l’arma dell’ironia: «Oggi però, se Topo Gigio tornasse in onda, tutti si chiederebbero a quale partito è in quota.
E se tornasse il Quartetto Cetra, sia ben chiaro che, dei quattro, uno
dev’essere meloniano, uno leghista, uno grillino e il quarto del Pd. Poi quello grillino e quello del Pd si annullano litigando tra loro, e così diventa il duetto Cetra, solidamente governativo».
Serra attacca anche il ministro Gennaro Sangiuliano che proprio a Che tempo che fa aveva detto che «alla Rai ci sono gli stalinisti», quindi «ci chiediamo quanto sia stato difficile per lui sopravvivere quando era direttore del Tg2: lo tenevano chiuso in una segreta?». Parla di «brutto clima, recriminatorio e meschino» e avverte: «Se fossi di destra sarei preoccupato,
perché penseranno che lavoro in Rai non perché sono bravo ma perché
sono di destra. Pensate che anche il direttore di Isoradio — le notizie
sul traffico — è di nomina partitica». La riflessione finale è amara:
«Bisogna ricordarsi che la Rai è dello Stato, non dei partiti».
Fazio conduce come al solito,
serio quando serve, ironico quando deve. Quello che doveva dire lo
aveva detto a divorzio caldo, appena consumato: «Il mio lavoro
continuerà altrove, d’altronde non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni,
me ne sono reso conto, e quindi continuo a fare serenamente altrove il
mio lavoro, quello che ho sempre fatto in questi quarant’anni». Per la
Rai cambierà tanto — bisogna trovare uno che arriva al 12%, il doppio di share della media dei Rai3 —, ma per il telespettatore cambierà poco. Solo qualche tasto più avanti del telecomando (il Nove), stesso format e stesso titolo (Che tempo che fa) perché il copyright non appartiene alla Rai.
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