Pnrr, dietro i ritardi italiani le tensioni tra Palazzo Chigi e il Mef e il nodo energia
I piani di RePowerEu
Si innesca qui la terza ragione dei ritardi italiani: l’esigenza di integrare la riscrittura del Pnrr con i piani di RePowerEu, cioè i progetti di autonomia energetica sostenuti da Bruxelles. Meloni e Fitto hanno chiesto piani alle grandi imprese partecipate — Enel, Eni, Snam e Terna — e queste li hanno presentati: dalle reti elettriche da Sud a Nord, a un nuovo rigassificatore galleggiante, alla cattura e sequestro delle emissioni inquinanti, a un potenziale aumento della produzione di pannelli fotovoltaici in Italia. Per ora il costo di questi progetti eccede la riserva a disposizione per RePowerEu, che include 2,7 miliardi di nuovi trasferimenti a fondo perduto da Bruxelles e circa tre miliardi dai fondi europei tradizionali. Il resto dunque potrebbe dover essere finanziato con le risorse che, potenzialmente, si stanno per liberare con le modifiche al Pnrr. Impossibile dunque fare una cosa senza l’altra. Ogni piccolo pezzo va montato insieme a tutti gli altri, con il rischio che una mossa sbagliata faccia saltare tutte le altre. È un puzzle amministrativo-finanziario ad alto grado di difficoltà: non esattamente una tradizionale specialità italiana.
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