Il test delle urne e i pericoli per Schlein
Alessandro De Angelis
Lo si è visto già al primo turno di questa tornata amministrativa, sufficiente (quando corrono le liste) a tastare il polso del Paese: nei suoi rapporti di forza reali, siamo ancora al 25 settembre. La fase non è cambiata. E tuttavia i ballottaggi, molto condizionati da elementi locali, cui si aggiunge il voto di Catania dove la destra punta chiudere subito la partita, inevitabilmente avranno un valore simbolico, nei termini di «chi ha vinto e chi ha perso»: se il giovane Giacomo Possamai – uno che ha chiesto ai big del suo partito, compresa Elly Schlein, di non andare a «fare passerelle» – espugnerà Vicenza si aprirà il dibattito sul “modello civico”; se la destra invece riuscirà a conquistare Ancona, Brindisi, e a mantenere le tre città toscane (Pisa, Massa, Siena) sarà un bel problema per la segretaria Pd, la cui gestione solipsistica del partito alimenta già dei malumori sottotraccia da parte di chi, anche tra i suoi sostenitori, chiede maggior coinvolgimento, in termini di scelte e agenda.
Poi, come in un volta-pagina, la dinamica (forse l’illusione) bipolare, lascerà il campo alla grande proporzionalizzazione della discussione politica, con l’orologio fissato al voto per le Europee, dove il primo avversario è l’alleato potenziale o reale cui erodere voti. Con la non irrilevante differenza che, mentre da un lato Salvini potrà agitarsi sul canone Rai o sull’autonomia, ma non è nelle condizioni di forzare più di tanto nell’ambito di una coalizione guidata da una leadership saldamente egemonica, dall’altro non solo non c’è un embrione di alternativa, ma il solco politico tra Pd e Cinque stelle è destinato ad acuirsi. Certamente sulla guerra, ma il trailer di quel che accadrà è andato in onda anche sulle nomine Rai, dove uno ha gridato all’occupazione, l’altro ha preso parte alla spartizione, il che fissa la divisione sull’elemento morale e sulla soglia dello scandalo tollerabile, mica un dettaglio.
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