Governo: identità e riforme da fare

Ferruccio de Bortoli (Corriere del 28 maggio) osserva che uno dei più gravi problemi dell’Italia riguarda il capitale umano: mancano le competenze di cui tanto le aziende quanto l’amministrazione hanno bisogno. Di sicuro, nessun governo, in pochi mesi, può risolvere un problema di questa portata né rimuovere le sue cause. Però gli esecutivi che si sono succeduti se ne sono sempre disinteressati. Se ne disinteresserà anche l’attuale?

Le ragioni per le quali lo status quo, anno dopo anno, e quali che siano i partiti al governo, viene preservato, sono piuttosto chiare. Spendere per assumere personale è facile, affrontare le strozzature non lo è. Per tre ragioni. La prima è che riformare significa coinvolgere una rete di persone, gruppi e istituzioni toccati dal provvedimento e con cui è inevitabile negoziare. La seconda è che seri interventi riformatori (in qualunque ambito) suscitano opposizione, mobilitano una grande quantità di interessi, grandi e piccoli, che si sentono minacciati. Riformare significa colpire rendite di posizione. E suscitare conflitto. Mentre le ricadute in termini di consensi di provvedimenti di assunzione sono sempre positive, le ricadute di seri interventi riformatori possono essere invece negative. Chi ha voglia, ad esempio, di scontrarsi con i sindacati del pubblico impiego o con l’alta dirigenza? La terza ragione è che intervenire su disfunzioni e strozzature non porta al politico alcun beneficio nel breve termine. I vantaggi per la collettività, se ci saranno, si manifesteranno in tempi differiti. In ogni caso, troppo lunghi perché chi governa possa ricavarne maggiori consensi.

Tuttavia, come si è detto, il governo Meloni gode di condizioni eccezionalmente favorevoli. Ha, almeno sulla carta, la possibilità di giocarsela bene. Ha la possibilità di dimostrare che la tesi sopra citata sulla personalità scissa dei partiti è sbagliata. Prendiamo il problema più grave che c’è (da sempre) in Italia, e che, come osserva Cassese, riguarda la «storica incapacità» dell’amministrazione. Una storica incapacità, detto per inciso, che pesa e peserà moltissimo, e negativamente, sulla gestione dei fondi Pnrr. Il governo potrebbe, e dovrebbe, presentare al pubblico un piano articolato per affrontare almeno alcune fra le principali cause della inefficienza amministrativa. Dovrebbe, in modo trasparente, indicare problemi e soluzioni scelte.

Una seria riforma dell’amministrazione non avrebbe la valenza identitaria e forse nemmeno la forza simbolica di un cambiamento della forma di governo (presidenzialismo o altro). Ma un esecutivo che sul serio vi si impegnasse lascerebbe davvero il segno.

CORRIERE.IT

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