Patrioti d’Europa: la premier usa termini come Nazione e cita Renan, teorico della razza ariana
ILARIO LOMBARDO
Lo scorso dicembre, su questo giornale, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki promise che assieme a Giorgia Meloni i conservatori europei avrebbero costruito un’«Europa delle patrie». Il progetto resta quello, mentre attorno si affollano sostenitori e i partiti affiliati crescono nei consensi. La contemporaneità del successo della destra in Italia e in Spagna in una competizione locale – che a Madrid ha però assunto un rilievo nazionale al punto da convincere il primo ministro Pedro Sanchez a dimettersi e ad anticipare le elezioni – pongono alla premier una riflessione da fare in vista della sfida del 2024, quando il paradigma europeo potrebbe cambiare per sempre.
Il piano è compattare i conservatori e convincere i partiti popolari a staccarsi dai socialisti con cui da anni governano a Bruxelles. Riproporre il modello italiano, insomma, il centro-destra al potere, proiettandolo in Europa. Quello che non riuscì a Silvio Berlusconi, e che Meloni invece sogna di realizzare con la sponda della fazione di destra del Ppe, e cioè con Antonio Tajani, il tedesco Manfred Weber e quelle parte dei popolari spagnoli che stanno lavorando a saldare l’alleanza con la destra post-franchista di Vox. Santiago Abascal e Meloni si sono fatti i complimenti a vicenda via social per i risultati elettorali. Congratulazioni che la leader italiana ha inviato non a caso attraverso il profilo di Ecr, la sigla dei conservatori europei di cui, seguendo le coordinate di Dio, patria e famiglia, fanno parte FdI e Vox. La mossa di Sanchez di anticipare il voto a luglio, spiega Carlo Fidanza, capodelegazione di FdI all’Europarlamento «serve a spaventare l’elettorato moderato dei popolari e a non permettere di far consolidare l’alleanza con Vox, alleanza che dimostrerebbe come la narrazione dei socialisti sulla destra è inutilmente allarmista». Il punto di arrivo è l’Italia di Meloni. Gli eredi della fiamma che si sono accomodati ai tavoli europei senza nessuno stravolgimento. La strada per convincere tutte le anime dei popolari a mollare i socialisti è lunga e piena di insidie. Vox dovrà smussare alcune tesi radicali, un po’ come ha fatto Meloni entrando a Palazzo Chigi. «Ma sarà un percorso naturale» scommette Fidanza. Più della Spagna a preoccupare i meloniani è la Polonia, dove a settembre sarà sfida feroce tra il conservatore Morawiecki e il popolare Donald Tusk. I contraccolpi potrebbero essere fatali per l’eventuale patto a Bruxelles.
La strategia di FdI è appena abbozzata. Ma ci sono alcuni punti fermi, battaglie identitarie, che ritroveranno il vigore di un tempo. A partire dall’immigrazione. E serviranno anche a nascondere i non pochi cedimenti all’Europa che nel passaggio dall’opposizione al governo Meloni ha dovuto digerire, in nome di una prima legittimazione internazionale e del buon esito delle trattative sul Pnrr. Il blocco navale dei migranti, la difesa assoluta delle ragioni dei balneari, e il no senza sfumature al Mes, sono ricordi lontani. La presidente del Consiglio deve riscrivere un’agenda, per le Europee. E lo farà cercando un equilibrio non semplice tra la postura di un capo di governo che non può più fare a botte con Bruxelles e il leader di un partito e di una coalizione che ha le sue parole d’ordine.
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