Kosovo, nei villaggi degli scontri: «Noi in incognito tra i serbi»

di Marco Imarisio

Nelle comunità rurali dove vive la minoranza nel Nord del Paese: «Qui parlare albanese è pericoloso». Il futuro dei sindaci contestati

Kosovo, nei villaggi degli scontri: «Noi in incognito tra i serbi»
La bandiera serba srotolata sulla strada di Zvecan (foto Ap)

DAL NOSTRO INVIATO
ZVECAN — Ogni mattina Fehmi Mehmeti si sveglia e sa che la prima cosa che dovrà fare è fingere di non essere sé stesso. Scende in cortile, svita la targa della Repubblica popolare del Kosovo dal suo camioncino da muratore, la sostituisce con una fasulla della Serbia, e solo allora si sente pronto per fare la spesa a Zvecan e poi raggiungere il cantiere poco distante dove è impiegato. Al ritorno, si ferma sempre sul ciglio della strada a ripetete l’operazione, sotto gli occhi comprensivi dei soldati della Nato.

Abita a Lipa, un villaggio immerso tra i boschi dove non c’è nulla, se non ottanta dei cinquecento albanesi che vivono circondati dall’ostilità di sedicimila «compatrioti» di etnia serba. Nella municipalità con il primato delle proteste più violente contro uno Stato che non viene riconosciuto come tale dalla maggioranza degli abitanti di quest’area. «In teoria questa terra è casa mia, ma è come se fossi all’estero», dice Fahmi, che ha moglie, un figlio di tre anni e sogna di andarsene un giorno, da questo lembo di terra così estremo, dove esiste solo l’economia sommersa e la povertà è l’unica cosa in comune tra i due gruppi etnici che la abitano. «I serbi con cui lavoro si lamentano sempre del destino. Io invece penso che non ci sia nulla di peggio che essere kosovaro-albanese e avere in sorte di vivere in mezzo a loro».

Il fiume

Quando arrivando da Pristina si supera il fiume Ibar, cambia tutto. Non solo le bandiere esposte fuori da case e negozi, che dall’aquila rossa dell’Albania passano a quella bicefala su sfondo tricolore della Serbia. A sud come a nord, sono davvero pochi gli stendardi blu del Kosovo. Anche questa assenza non è un dettaglio da poco. Ma attraversare quel ponte significa passare dall’euro del Kosovo al dinaro serbo, la moneta con la quale viene pagato Fehmi. Significa passare dalla lingua albanese al serbo, veder circolare solo auto con targa serba rilasciate da Belgrado. Quando il governo di Pristina ha cercato di mettere mano a questa anomalia, minacciando multe, è scoppiata una mezza rivolta. Ci hanno messo una pezza in senso non solo figurato, con un adesivo bianco che nasconde la sigla KS, ricordo della Jugoslavia che fu.

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