Tito Boeri: “La legge Made in Italy è da Ventennio, non c’è redistribuzione della ricchezza”

Giuliano Balestreri

Globalizzazione, fisco e lavoro. Tanta economia e poca politica. Il Festival Internazionale dell’Economia, che inizia oggi a Torino, farà in qualche modo da contraltare al governo che in questi giorni è alle prese con il lavoro, la delega fiscale e il decreto sul Made in Italy. La crescita del Pil batte le attese, ma l’inflazione non molla la presa e il potere d’acquisto continua a scendere. «Il Pil non è sufficiente a spiegare la complessità della situazione. È evidente che le persone affrontino un momento di grande difficoltà e che in Italia ci sia un problema di redistribuzione» spiega Tito Boeri, milanese, classe 1958, professore di Economia del Lavoro alla Bocconi, che del Festival, arrivato alla sua seconda edizione, è il direttore. Tra marzo 2015 e il 2019 è stato ancora presidente dell’Inps.

Si parlerà soprattutto di globalizzazione: corre verso la fine?

«È un argomento estremamente divisivo. C’è chi pensa sia un fenomeno positivo e tende a vederne solo i vantaggi, penso alla possibilità di accedere a una maggiore varietà di beni; a prezzi più bassi grazie a un più elevato livello di concorrenza, ma anche la possibilità di comunicare il mondo intero, viaggiare, scambiare opinioni e culture».

E gli aspetti negativi?

«C’è chi pensa che gli svantaggi siano superiori. E teme la perdita del lavoro, vuole difendere la diversità, la propria identità e la sovranità».

Come si mettono d’accordo due anime così diverse?

«Parlarne serve a governare la globalizzazione. Per questo ne discutiamo con esperti che ne occupano da 25 anni».

Intanto le gente comune legge che il Pil è cresciuto dell’1,9%, ma fatica sempre di più a fare la spesa.

«Il Pil è un numero, ma non spiega la redistribuzione della ricchezza. E in Italia il reddito è un problema reale. Molte persone hanno perso una larga parte del proprio potere d’acquisto. Rispetto ad agosto 2021, i prezzi sono aumentati del 13-14%, mentre i salari sono cresciuti del 3-4%: questo vuol dire che in tanti, soprattutto dipendenti, hanno perso il 10% delle loro capacità di spesa».

Come si esce dalla dinamica dei lavoratori poveri?

«La chiave di volta è quella di incentivare un nuovo modello di contrattazione salariale. Servono stipendi legati alla produttività e più contrattazione di secondo livello, tra le aziende e i loro dipendenti».

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