Tito Boeri: “La legge Made in Italy è da Ventennio, non c’è redistribuzione della ricchezza”
Nelle sue considerazioni finali, il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha parlato di salario minimo unico.
«Sono molto contento che lo abbia. Visco sarà al Festival e ne parleremo ancora, ma un salario unico nazionale che superi i tanti minimi contrattuali che abbiamo proteggerebbe tanti lavoratori che oggi guadagnano 5 euro lordi l’ora. È un bene che il governatore ne abbia parlato».
I sindacati sono contrari al salario minimo.
«Le critiche lasciano senza rete di protezione i lavoratori più deboli, quelli con meno tutele».
Anche i sindacati devono innovarsi?
«Devono cambiare strategia».
A criticare la globalizzazione sono soprattutto i sovranisti.
«Io credo che prima di tutto si dovrebbe definire il concetto di sovranità».
Cioè?
«Ci sono politiche che rispondono direttamente ai desiderata degli elettori e alle diverse esigenze dei singoli Paesi, da quella distributive alla tassazione, che probabilmente è giusto siano lasciate ai governi nazionali. Poi ce ne sono altre che sono totalmente incomprensibili».
Si riferisce al decreto made in Italy?
«È la cosa più antistorica che possa esistere. In tutto il testo non ho trovato neppure la definizione di cosa sia il made in Italy. In quale perimetro ci muoviamo?»
Immagino quello delle aziende italiane.
«Se penso alle caffettiere Bialetti, uno dei simboli dell’italianità nel mondo, penso che sono prodotte in larga parte tra Turchia e Albania. è questo il made in Italy? O la pasta Barilla che credo arrivi dalla due Americhe. Per non parlare delle biciclette. È una concezione incomprensibile del made in Italy. Capisco che si vogliano tutelare alcune aziende e industrie, rilevanti e magari strategiche, ma sembra una legge scritta nel Ventennio. Quando non esisteva la globalizzazione. Oggi viviamo in un mondo alimentato dalle catene globali del valore. Se le rompiamo e imponiamo di non decentrare cicli del processo produttivo altrove rischiamo di far aumentare i prezzi. E lo abbiamo visto in questi anni».
Quindi chi critica la globalizzazione rischia di farsi male da solo?
«Con il Covid prima e con la guerra poi, abbiamo visto cosa è successo ai prezzi con lo stop alle forniture internazionali. E gli effetti li vediamo ancora oggi con l’inflazione. La globalizzazione si può frenare, ma non fermare».
Globalizzazione vuole dire anche più migrazione che il governo ridurre.
«Il governo sbaglia a contrapporre la natalità all’immigrazione. Perché le due cose sono complementari. Gli immigrati liberano tempo per lavorare per le donne: si occupano dei figli, riducendo il costo di farli, e degli anziani. E questo può aumentare il tasso di fertilità».
Più delle politiche del governo?
«Se funzionassero, avrebbero effetto tra almeno 20 anni».
E poi questo è il Festival più globale che ha organizzato.
«Con l’80% dei relatori che arrivano da fuori Italia è sicuramente il più internazionale. Non ho provato a calcolare la distanza chilometrica che percorreranno tutti i relatori, ma è grande. Ci sarà tanta economia e poca politica. E l’interesse è alto. Oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo avuto un workshop con il professor Alberto Bisin, doveva essere un incontro tecnico, con pochi partecipanti. Erano così tanti che abbiamo dovuto cercare un’altra aula».
LA STAMPA
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