Quel nonno di Kiev piegato sulla nipote dilaniata a 9 anni
Domenico Quirico
La fotografia l’abbiamo sotto gli occhi e sotto le dita. Il volto non lo vedo, coperto dalla reverenza di un lenzuolo bianco. Non lo vedrò mai. Non saprò se questa bambina di Kiev era bionda o bruna, se era paffuta, se le sue mani cominciavano ad acciuffare le cose… e gli occhi…? Dolci o fieri? Vedo il nonno che la veglia abbandonato su una di quelle sedie di plastica degli umili bar di periferia senza che gli escano parole di dentro: l’illusione di possedere ancora la persona che si ama, di incorporarsi in lei, non fare più che una cosa con la sua sostanza, essere trasformati nel proprio amore vivente… E provare nella carne l’orrore di questa assenza infinita. Vorremmo fargli dono di una tenerezza divina, una consolazione che non sia dell’uomo.
Chissà se lei ha capito che di questo si trattava, di morire. Un cuneo di verità nel soffice non sapere dell’infanzia, le ha strappato l’ingenuità come una benda dagli occhi e ha visto in un lampo tutto ciò che la bomba le toglieva. E’ una immagine sconvolgente perché per metà è di morte e per metà di quiete; più esattamente di un distacco calmo e prematuro come se cose del mondo lì si fossero scolorate d’improvviso. Già: i bambini ucraini, i bambini di Aleppo, di Sanaa, di Sarajevo, di Kabul…
C’è sempre qualcosa di incomprensibile nell’orrore. Non riesci a reagire in modo sensato: repulsione, dolore, paura , lutto, vergogna e nulla di sensato. Nel momento in cui lo vedi ti domandi se riesci davvero a vedere quello che stai vedendo. La cronaca spiega che è stata uccisa da un bombardamento russo , uno dei tanti di questi giorni sulla capitale, in un luogo, l’ucraina, dove da più di un anno!, non è la morte ma la vita ad apparire come un incidente del destino. La vita degli innocenti, dei miseri, dei travolti dalla Storia crudele e dai suoi lucidi burattinai.
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