Il Pnrr e la «sindrome della caldaia»



È il caso di uscire dal circolo vizioso di un sistema Paese che combatte con se stesso, invece di rimboccarsi le maniche a realizzare un progetto positivo
. Vale per l’incredibile corto circuito sul Superbonus finanziato dal Pnrr con 15 miliardi, ma mancando gli obiettivi perché si sono sostituite le caldaie sbagliate. E vale per la polemica che sta opponendo la Corte dei conti al governo. Spiace dirlo, ma qui la magistratura contabile e la Commissione europea non hanno ragione di preoccuparsi. Una revisione meticolosa dei lavori da parte di un’autorità nazionale indipendente è prevista dai regolamenti europei ed è sacrosanta. Guai a toccarla. Ma tenere il revisore in cabina di pilotaggio con l’attuatore (in cosiddetto «controllo concomitante»), nel migliore dei casi rallenta il processo e nel peggiore porta a confondere il secondo con il primo.

Dunque, come si va avanti da qui? In questo momento il governo ha appena presentato a Bruxelles il suo piano di RePowerEU. Sono i progetti in più per l’indipendenza energetica. E sono piaciuti, a quanto pare. Solo che l’Italia non ha ancora specificato le relative richieste di prestiti supplementari perché tutto — inclusa la quarta rata da 16 miliardi, in teoria esigibile da luglio — resta legato alla revisione del Pnrr più volte annunciata ma mai presentata, neanche in bozza. La Spagna martedì renderà ufficiale la sua revisione da 90 miliardi, dopo averla discussa con Bruxelles per sei mesi; Francia, Germania, Portogallo e Grecia hanno già presentato le loro. L’Italia invece in questa fase tratta con Bruxelles per evitare — non è detto, ma forse ci riusciamo — che la terza rata da 19 miliardi venga pagata solo in parte a causa di alcuni dissidi sugli obiettivi.

Vale dunque la pena di tornare a «Greece 2.0», perché lì qualche segreto si può rubare. Il primo è lo sforzo corale del governo Mitsotakis, incluso il ministero dell’Economia, unito alla buona disposizione a lavorare gomito a gomito con Bruxelles. Il secondo è la coalizione fra governo di Atene, istituzioni europee e settore privato. Molti grandi progetti greci prendono metà dei fondi dal Recovery, un po’ dalle imprese e un po’ dalla Banca europea degli investimenti. E ogni Paese ha le sue specificità, certo, non ha senso copiare. Ma magari la sindrome della caldaia sbagliata non dev’essere per forza un destino ineluttabile.

CORRIERE.IT

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