Sostituzione etnica: che cos’è e chi l’ha fatta davvero

L’ondata che parte dagli Usa

Il libro di Federico Leoni, «Fascisti d’America» (Paesi Edizioni), descrive con precisione il mondo dell’Alt-Right, la «destra alternativa» americana. Sono decine di formazioni, alcune diventate note in tutto il mondo per aver partecipato all’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021, come i «Proud Boys» o gli «Oath Keepers». Un groviglio di ideologie accomunate da una convinzione: «É in atto una cospirazione delle élite (finanzieri, politici, grandi industriali, intellettuali) per schiavizzare le masse, instaurando un Nuovo Ordine Mondiale».

In sostanza, l’establishment utilizza consapevolmente l’immigrazione incontrollata per spazzare via i bianchi, rimpiazzandoli con i più docili migranti. Un delirio che ignora le lezioni della storia

Le malattie esportate dagli europei

Nel 1492, l’anno in cui Cristoforo Colombo scoprì il nuovo Mondo, nell’intero continente americano (Nord, Centro e Sud) vivevano 75 milioni di persone, in Europa 60. Nell’attuale Messico c’era Tenochtitlan: 250 mila abitanti, quando Londra e Roma in quello stesso periodo ne avevano 50 mila, mentre Madrid non arrivava a 5 mila. Facciamo un salto di cinque secoli: nel 1990 si stimava che gli immigrati irregolari negli Stati Uniti fossero 3,5 milioni. Nel 2014 la cifra era salita a 11 milioni, con circa cinque milioni di messicani. E’ in questo periodo che la propaganda del sovranismo estremo diffonde sulle piattaforme web il virus della xenofobia: i migranti rubano il lavoro, sono dei criminali, portano nuove malattie. Nella realtà americana non ci sono statistiche serie a sostegno di questi fenomeni. La ricerca storica, invece, ha dimostrato come i bianchi venuti dall’Europa, con le loro barche cariche di mucche, capre, maiali, polli e cavalli portarono nel Nuovo continente malattie sconosciute: vaiolo, morbillo, difterite, tracoma, peste bubbonica, malaria, febbre gialla, scarlattina e altro ancora. Tra il 1500 e il 1800 morirono circa 50 milioni di indigeni, privi com’erano di difese immunitarie, lasciando le loro terre non solo ai conquistadores armati, ma anche ai «pacifici» migranti in arrivo dalla Germania, Inghilterra, Irlanda.

L’era della rimozione forzata e della schiavitù

Sempre tra il 1500 e il 1800, 2,5 milioni di europei sbarcarono nelle Americhe, trascinando con la forza quasi 12 milioni di africani. La civiltà europea ha prodotto l’era della schiavitù, che ha segnato la nascita e la crescita degli Stati Uniti, passando poi dalla piena sottomissione dei «black people» alla segregazione, fino alle scorie del «razzismo sistematico» che intossicano ancora oggi la società americana.

Secondo le più gettonate teorie del complotto, diffuse negli ambienti dell’estrema destra americana contemporanea, la «sostituzione etnica» prevede la costruzione di campi di concentramento in cui rinchiudere i bianchiÈ utile ricordare che invece fu proprio un presidente bianco,Andrew Jackson, considerato dalla storica Jill Lepore «il primo populista alla Casa Bianca», a promulgare nel 1829 «l’Indian removal Act», ordinando la rimozione forzata dei nativi americani. La legge, approvata di misura dal Congresso, portò al trasferimento di circa 47 mila uomini, donne e bambini delle «cinque tribù civilizzate»: Cherokee, Chickasaw, Chocktaw, Creek e Seminole che fino a quel momento vivevano in Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi e Tennessee. Furono tutti deportati nelle terre del «Selvaggio West».

L’esercito sloggia i nativi

I Cherookee, stanziati in Georgia, cercarono di resistere, appellandosi anche alla Corte Suprema con questa dichiarazione: «Ci chiedete di andarcene, ma noi non siamo stranieri. Noi siamo gli abitanti originari dell’America». I giudici si pronunciarono a loro favore. Ma Jackson ignorò la sentenza e, minacciando l’uso della forza, convinse una parte del gruppo dirigente della tribù a firmare l’accordo di trasferimento in Oklahoma. Accettarono di andarsene solo 2 mila Cherookee. Gli altri 16 mila furono sloggiati dall’esercito, con un viaggio a tappe forzate, in cui morirono circa 4 mila persone. Chi viaggia nel Sud degli Stati Uniti può ritrovare ancora oggi tracce del «Trail of Tears», il sentiero delle lacrime, percorso da tutti i nativi cacciati dalle loro terre. Il vuoto fu presto colmato dai bianchi, a partire dai cercatori d’oro, visto che nel 1828, giusto un anno prima dell’Indian Removal Act, in Georgia era stato scoperto un giacimento del più prezioso dei metalli.

«Esistono uomini destinati a diventare schiavi?»

Ed ora eccoci qui, a quasi due secoli di distanza dalla «rimozione etnica» voluta da Jackson, alle prese con teorie che pretendono di rimuovere la Storia. Negli Stati Uniti e in Europa l’ideologia del «suprematismo bianco» continua a fomentare l’ostilità verso gli immigrati e ad inquinare pericolosamente il dibattito pubblico. Senza neppure porsi la domanda che è alla base del nostro ordine mondiale e che, nel 1504, il re Ferdinando di Spagna, committente insieme alla consorte Isabella della missione di Cristoforo Colombo, aveva girato a un gruppo di filosofi e di giuristi: «Le espropriazioni compiute dagli europei nel Nuovo continente e la riduzione in schiavitù dei nativi americani sono compatibili con la legge umana e quella divina?».

I saggi dell’epoca conclusero che «in natura esistono uomini meno capaci, destinati a diventare schiavi». Nel 2023 l’eco di quella risposta non si è ancora spenta

Dataroom@corriere.it

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