Nella guerra senza limiti né deterrenza si vince solo rovesciando i fronti
Domenico Quirico
Con quali limiti? O addirittura senza limiti? La guerra in Ucraina per alcuni mesi è avanzata con infinitesimali spostamenti quotidiani; sì, una guerra lenta. Addirittura pareva non muoversi nulla e già qualcuno evocava immobilismi da primo conflitto mondiale. Confessiamolo: noi che eravamo al comodo riparo della non belligeranza iniziavamo ad annoiarci. Eppure invisibili divinità cattive costruivano una rete di direzioni, di inclinazioni e di segni, una muscolatura segreta e terribilmente viva per rendere la guerra più grande e pericolosa.
Quel silenzio teso avrebbe dovuto metterci in allarme, era un silenzio di complotto. Non a caso i messaggeri, rarissimi, confusi, tardavano a tornare e sempre a mani vuote: nessun negoziato, vietato parlare di tregua. La misteriosa controffensiva ucraina, indicata come risolutiva, palingenetica proprio perché così misteriosa, sembrava l’unica possibile via per il ritorno all’equilibrio. Ricchi di armi e di voglia guerriera, abbonati all’eroismo, gli ucraini avrebbero ricacciato i russi ristabilendo le frontiere violate, termine ultimo e invalicabile della guerra. La pace era dunque misurabile al centimetro: là e non oltre e tutto sarebbe ritornato come per magia al 23 febbraio. Giusto in tempo per andare in vacanza e per discutere le fette della ricostruzione. Insomma: una guerra raffreddata da manuale di storia. E Putin? E la Russia?
Solo alcuni spregiudicati lasciavano, cautamente, intravedere la tentazione a lucrare, “en passant”, anche la caduta di un altro pestifero autocrate guerrafondaio. Facevano capolino la idea hegheliana della scaltrezza della ragione, e quella, orribile e apparentata, del Male necessario al Bene: in fondo alcune decine di migliaia di morti… Un prezzo accettabile per un mondo ben ordinato.
E invece… La guerra non fa sconti, non si auto limita, ci trascina implacabile a punti estremi di virulenza. Gli ucraini, gli unici che non mentono sulle loro intenzioni, portano la guerra in territorio russo, scavalcano a cannonate, con i droni, sui blindati il prefissato limite. Giorno dopo giorno la modesta finzione dei raid di improbabili “partigiani democratici russi” viene abbandonata. Qui si rovescia il fronte, si attacca esplicitamente dall’altra parte, si dà l’assalto alle loro città. A mettere al riparo i bambini adesso sono i governatori russi. Forse si punta ad avvolgere in una sacca gigantesca l’armata putiniana che si è affannata a munire le trincee del Donbass e che si troverebbe il nemico alle spalle.
Dopo mesi di allegre certezze annibaliche serpeggia un po’ di paura, di drammatizzazione vagamente allucinatoria: ma questa è un’altra guerra… E cosa faranno i russi che si inferociscono quando si calpesta il loro sacro territorio? Che non badano più alle magagne di chi li comanda ma solo ad annientare l’invasore. Come provano lo svedese Carlo dodicesimo, Napoleone e l’imbianchino stratega con i suoi panzer. Ma questa è la logica della guerra. Soltanto rovesciando le parti, andando ad annientare il nemico nel suo territorio si vince. La sconfitta non finisce mai mentre la vittoria accade e si consuma.
Insomma: per prevalere si deve marciare su Mosca, altro che rimettere in piedi le vecchie palette del confine. Sarebbe soltanto un episodio, non risolutivo. Per vincere bisogna imporre la resa ai russi e costringerli a consegnare il responsabile della guerra, Putin e la sua obbediente camarilla. Questa è la guerra, spiegano con realismo gli ucraini, il realismo di chi la combatte e subisce. A noi, ipocriti spettatori, è consentito il comodo di tracciare linee infrangibili, limiti da non superare, obiettivi da non sussurrare neppure sottovoce. La finzione è una delle stoffe con cui è fatta la nostra vita mentale. Ma la guerra si può vincere solo calpestando la terra del nemico e costringendolo ad abbassare le armi. Come hanno fatto i russi più di un anno fa o gli americani in Afghanistan e nella seconda guerra irachena.
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