Calenda: «Sul Pnrr il punto è la politica: non sa spendere né gestire. Certe verifiche paralizzano, il governo ha fatto bene»
Il leader di Azione: «Salario minimo, forse collaborerò con Schlein»
Carlo Calenda, lei non crede, come il Partito democratico, che la decisione del governo di sottrarsi al controllo della Corte dei conti sul Pnrr riveli la propensione a una «svolta autoritaria» di questa maggioranza? C’è anche chi ha tirato in ballo il fascismo…
«Macché, si tratta di un controllo ridondante
rispetto alla Ue. Quello di costruire controlli su controlli per poi
ottenere la paralisi della pubblica amministrazione è uno dei tanti mali
italiani. Il governo ha fatto bene. E in tal senso si sono espressi
anche autorevoli amministrativisti. Il punto del Pnrr non è questo».
E qual è allora?
«Il punto è che noi non riusciamo a spendere i soldi
perché in questo Paese i politici non sono in grado di far accadere le
cose perché non hanno esperienza di gestione. È un problema trasversale.
Con il Pnrr questo aspetto si evidenzia in modo clamoroso. Sono
bravissimi a fare le leggi e a regalare bonus, per il resto, dalla
sanità all’immigrazione e all’istruzione, niente di strutturale cambia
mai. E gli italiani si ritrovano a dover spendere 40 miliardi di euro
l’anno per curarsi mentre solo l’uno per cento dei fondi del Pnrr è
stato speso per la sanità».
Possibile che le opposizioni non riescano ancora a trovare un terreno d’azione comune?
«Io ho mandato il nostro piano per l’azzeramento delle liste d’attesa nella sanità e quello per una retribuzione minima
contrattuale a Schlein e al governo. Forse, dico forse, e con grande
ritardo, sulla retribuzione minima riusciremo a fare qualcosa insieme.
Ma il problema è che Schlein
ha tre proposte sul salario minimo che riflettono le diverse anime del
partito. O il Pd prende consapevolezza del fatto che al suo interno ci
sono anime che la pensano diversamente su tutto, compresa l’Ucraina,
oppure chiunque sia il segretario non potrà che comunicare il nulla».
Cosa dovrebbe fare secondo lei il Partito democratico?
«Io credo sia ora che il Pd esca dalla terra di nessuno, perché così non marca il governo, anzi, ogni polemica stupida sul saluto romano
alla parata del 2 giugno, sulla Corte dei conti come baluardo della
democrazia contro il fascismo, rappresenta la garanzia per la Meloni di
una vita politica lunga e prosperosa. È arrivato il momento di dare una
nuova identità all’area liberal-democratica facendo un’opposizione di merito
e noi saremo molto felici se qualcuno dal Pd deciderà che è il tempo di
fare questo tipo di opposizione in collaborazione o venendo a costruire
con noi un partito liberal-democratico capace di prendere posizioni
nette».
E nel frattempo?
«Io posso solo continuare a mandare i nostri contributi
all’opposizione e alla maggioranza. Lo farò anche con la proposta che
lanceremo giovedì per la limitazione e il divieto dell’uso dei social
ai ragazzi sotto i 13 anni e la necessità del consenso dei genitori per
quelli dai 13 ai 15. È una legge che è stata approvata in Francia e su
cui l’opposizione dovrebbe battere un colpo. I preadolescenti sono
devastati dai social e le famiglie sono lasciate sole. Con il risultato
che aumentano a dismisura le patologie dei giovani».
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