Bibbiano, Claudio Foti assolto: «Mi chiamavano boss e lupo, ora vorrei incontrare la ragazza dell’inchiesta affidi»
di Margherita Grassi
Lo psicoterapeuta e fondatore di Hansel&Gretel: «Smontato tutto il castello di pregiudizi. Dovrò avere pazienza, perché ci saranno residui non so per quanto tempo ancora. Sono felice, riconosciute giustizia e verità»
«Boss degli affidi, lupo di Bibbiano. Mi chiamavano così, ma si rende conto? Nella rete ci sono sacche di ignoranza, odio e stupidità e si possono costruire identità negative a partire dal niente». Claudio Foti è un fiume in piena. È come se volesse buttare fuori tutti i non detti di quattro anni, passati dalla deflagrazione dell’inchiesta sui presunti affidi illeciti in val d’Enza (giugno 2019), alla condanna in primo grado a 4 anni (novembre 2021) fino all’assoluzione piena in Appello. Lo psicoterapeuta era accusato di abuso d’ufficio e di lesioni per aver «provocato depressione» a una 17enne tramite «domande suggestive». La procura generale di Bologna valuterà i margini per un ricorso in Cassazione una volta lette le motivazioni. «Cos’è che fa sì che quel disturbo sia riconducibile proprio a ciò che lo psicoterapeuta ha fatto? Quando non si è in grado dimostrarlo, il nesso causale non esiste, ma c’è la presunzione di imporre un colpevole», dice il suo avvocato Luca Bauccio.
Foti, che sensazione prevale in lei?
«Sollievo,
soddisfazione, gioia. C’è stato un riconoscimento di giustizia e
verità. Al contempo, la reiterazione dei comportamenti di ingiustizia e
di manipolazione della verità quasi mi danno la sensazione che non sia
ancora vero».
Quindi è sorpreso della sua assoluzione?
«L’essere
umano ha bisogno di adattarsi anche alle situazioni più terribili, ma
l’effetto è anche una sensazione di non piena consapevolezza. Ma è
accaduto ciò che è assolutamente giusto, ciò che in una comunità civile
ci si attende. I giudici in maniera più serena, approfondita e
indipendente hanno valutato la mole di documenti e argomentazioni e
hanno avuto il coraggio di ascoltare le ragioni del diritto andando
contro una montagna di pregiudizi. Ma le videoregistrazioni le volete
vedere o no?».
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Si riferisce alle videoregistrazioni delle terapie con la ragazza in questione. Cambierebbe qualcosa nel suo modo di procedere? Cos’è che stabilisce cosa sia giusto e sbagliato in questo campo?
«Non
c’è stato nulla che possa, sul piano dei fatti, legittimare le accuse.
Ho fatto una terapia corretta, gentile, empatica, rispettosa del
paziente e delle procedure. Dovrò avere pazienza, perché ci saranno
residui non so per quanto tempo ancora. Credo che il giudice non abbia
il diritto di entrare di soppiatto nella stanza della psicoterapia: è la
comunità scientifica a doverne discutere, a meno che non si intravedano
comportamenti di minaccia, violenza o grave scorrettezza
deontologica».
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