Post alluvione, lite Meloni-Salvini: la premier contro tutti
Francesco Grignetti, Ilario Lombardo
ROMA. Una cosa sola hanno capito, sindaci e governatori, quando la larga riunione di Palazzo Chigi è finita: che per il post-alluvione Giorgia Meloni vuole procedere in splendida solitudine. Le decisioni verranno accentrate a Palazzo Chigi, tagliando fuori tutti, alleati e non, ministri e possibili commissari straordinari. La premier è stata accorta. I suoi toni, collaborativi e istituzionali. Ma il senso del discorso è chiaro. Annunciando l’istituzione a Roma di un Tavolo di consultazione permanente sotto la guida del ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, che farà da «collettore» alle istanze degli enti locali, in pratica la ricostruzione resta in mano a lei. E infatti non solo mugugnano i sindaci delle città alluvionate, che da quelle parti sono quasi tutti del Pd, ma anche la Lega, presa in contropiede. A Matteo Salvini non resta che fare buon viso. Pensare che la sera prima, come rivelato dal sito Dagospia, il vicepremier leghista era a cena a Trastevere con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Ma mica lo avevano informato del colpo di scena.
La presenza di Meloni, inizialmente, era prevista solo per un rapido saluto. Avrebbe dovuto aprire il vertice con il governatore Stefano Bonaccini e con i sindaci romagnoli, riunione poi estesa ai territori alluvionati anche di Marche e Toscana, per poi lasciare Salvini e il sottosegretario Mantovano a condurre il confronto. E invece è rimasta, rendendo subito palese la sua volontà: fare a meno (per ora) di un commissario alla ricostruzione, evitare un infinito dibattito sul ruolo di Bonaccini, centralizzare a Palazzo Chigi il coordinamento sulle risorse e la pianificazione degli interventi, prendere tempo sull’erogazione delle risorse perché i soldi – questa è la verità che sembra emergere giorno dopo giorno – non sono abbastanza e non sono quelli inizialmente promessi. Meloni, infatti, è pronta a dare battaglia contro tutti, circondata dai suoi fedelissimi.
I sindaci capiscono subito che il nodo principale, su chi sarà il commissario alla ricostruzione, in quali tempi sarà scelto, e con quali risorse, non verrà minimamente affrontato. È palpabile il fastidio della premier ogni volta che qualcuno tenterà di introdurre il tema. Sbuffa, si mostra spazientita, nervosa. E c’è di più. C’è l’impressione che il governo sia tentato di non nominare alcun commissario. Per i leghisti suona come una novità. L’idea di aggirare il problema del commissario tornerà anche nelle parole del sottosegretario Mantovano, il quale, raggiunto dai giornalisti, la spiega così: «Siamo tutti responsabili in questa fase. Non c’è bisogno di un garante. Ci sono differenti istituzioni, centrali e territoriali».
I sindaci, specie quelli romagnoli, però non sono affatto convinti di una soluzione del genere. E hanno un sospetto: che Meloni voglia prendere tempo, allungare il più possibile l’attesa, perché l’amara realtà del bilancio fa emergere che le risorse sono pochissime. Secondo l’analisi degli amministratori, a disposizione dell’esecutivo c’è meno di 1 miliardo, e cioè meno della metà dei 2,2 miliardi promessi nel decreto per la ricostruzione.
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