Oggi è la è la giornata degli Oceani, ma il mare è un grande ferito
Nicola Lozito
Com’è profondo il mare. Appena dieci giorni fa un team internazionale di scienziati ha annunciato di aver scoperto e catalogato cinquemila nuove specie sottomarine che vivono nei fondali dell’area di Clarion-Clipperton in mezzo al Pacifico. Spugne, pesci, alghe, anemoni e un’infinità di invertebrati dalle forme più strane. Cinquemila. Praticamente abbiamo scoperto un nuovo mondo. Peccato che a luglio la Seabed Authority, l’autorità internazionale che coordina le regole di sfruttamento dei fondali marini, dovrà rispondere alle tante richieste delle aziende che vogliono “arare” minerali e metalli dai fondali dalla zona Clarion-Clipperton, devastando con il cosiddetto deepsea mining uno dei pochissimi ecosistemi ancora vergini del Pianeta. Non un gran modo per festeggiare la giornata degli Oceani, che ricorre ogni 8 giugno per ricordarci non solo quanto il mare sia profondo, ma anche ferito.
«Gli oceani sono un Far West: ancora oggi tutti possono farci qualsiasi cosa», spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento della onlus Greenpeace. «Abbiamo bisogno di moratorie, come quella contro lo sfruttamento minerario dei fondali, e l’Italia è uno dei 36 membri del consiglio della Seabed authority che può fare la differenza. E abbiamo bisogno di accordi e leggi internazionali precise e rispettate».
In questo senso c’è una buona notizia che è arrivata proprio negli ultimi mesi: dopo decenni di trattative, la comunità internazionale a marzo è riuscita a d accordarsi per il Trattato dell’Alto mare. Entro il 2030 il 30% delle acque internazionali deve diventare area protetta. Il documento è pronto, ora va ratificato dai singoli Stati (e anche qui l’Italia può giocare un ruolo importante, magari ratificandolo prima degli altri Paesi europei). Proteggere gli oceani significa salvare la biodiversità e garantire il corretto funzionamento dei tanti servizi ecosistemici che il mare ci offre. Il mare assorbe calore, assorbe la CO₂ prodotta in questi secoli di sfruttamento indiscriminato delle fonti fossili e restituisce in atmosfera circa il 50% dell’ossigeno che respiriamo. Bisogna proteggere le acque anche dalla plastica e della microplastica, che soffoca letteralmente la vita. La produzione di plastica vergine per il 2060 sarà cresciuta del 300% rispetto a oggi, spinta dai nuovi affari delle aziende degli idrocarburi, che convertiranno le loro attività verso il petrolchimico.
«Oggi solo l’8% dei mari del mondo è area protetta, la strada è ancora lunga», continua Ungherese. «E non è una questione solo di numeri. Sentiamo parlare di zone protette, ma spesso si tratta di santuari di carta, tracciati solo sulle mappe. Tra mar Ligure e mar Tirreno si trova il Santuario dei Cetacei, per esempio, che dovrebbe essere difeso ma poco viene fatto».
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