Le nostre democrazie sedotte e consumate dai demagoghi che volevamo distruggere
Questo è uno dei dilemmi che ci ha portato alla consunzione democratica. Che altro non è, detta in maniera più semplice, che quello stato di fatica psicologica, di afonia pubblica di fronte alle inefficienze del nostro sistema. La delusione di uno Stato in cui per definizione ognuno ha voce e diritti uguali a quelli degli altri, e che tuttavia viene rapito da interessi economici (e dunque militari) in continuazione, che produce governi brevi e classe politica sempre più debole.
Cosa ha portato a tutto questo? Della rottura nella società americana ci siamo accorti solo con l’arrivo di Trump, che ha abbracciato una politica di scontri e divisioni – fino all’insulto. E che tuttavia così facendo ha “svelato” la lacerazione esistente nel Paese. Al punto da cancellare il più forte punto di stabilizzazione del sistema americano: la capacità, nei momenti difficili, di riuscire a far prevalere su tutto l’interesse nazionale. Quell’interesse nazionale è il punto che è sparito dalle democrazie occidentali, sbranato, lacerato da mille interessi di parte formati dal falò di ogni parità economica, e dai mille rivoli in cui si sono dispersi i diritti individuali.
Il grande momento della rottura istituzionale trumpiana è stato l’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio del 2021, ed è rilevante che gli incidenti siano stati trattati non come un gesto politico, ma come una violazione delle istituzioni, e come tali giudicati da una Corte come reato. Il processo, dunque, è stato una affermazione di articolazione degli strumenti che fanno sistema in democrazia.
Ma la rottura delle dinamiche istituzionali sta prendendo piede un po’ dappertutto nel nostro mondo. In Uk il partito conservatore, che ha guidato la grande rottura con l’Eu, la Brexit, oggi se ne è pentito. Al punto che il suo più recente premier Sunak ha cominciato a lavorare con Von der Leyen a un ravvicinamento almeno di fatto. La Germania? Un Paese che dopo Merkel non è riuscito a trovare una quadra fra il proprio ruolo in Europa e il proprio egoismo in tempo di guerra: la voglia della Germania di voler fare da sola e al meglio per sé stessa ne ha indebolito il peso in Europa. Infine la rottura in Francia, iniziata in effetti già con i gilet gialli. Macron ha spinto di recente sul presidenzialismo per poter dimostrare la forza proprio di un potere centrale determinato, per poi trovarsi di fronte a cosa? Ha fatto passare la riforma delle pensioni ma è ormai in rotta con tutto il resto della sua nazione.
In Italia le elezioni di settembre hanno cambiato l’asse del Paese. Il voto ha eletto a Palazzo Chigi per la prima volta dopo il 2011 un premier indicato dalla coalizione che ha vinto. In questo senso è stato un voto importante perché ha riportato nel suo corretto corso un processo politico indebolito da dieci anni di scelte di premier tecnici o simil-tecnici. Giustificati con la crisi istituzionale, forte anche in Europa, dovuta alla nascita di forze sovraniste e populiste.
Il Presidente Meloni ha ricostituito, dunque, le regole; ma l’erosione degli anni scorsi di alcuni pilastri democratici, come i partiti e il Parlamento, non è stata sanata: prova ne sia il dilagante astensionismo, che costituisce i piedi d’argilla del pur vincente governo Meloni.
Di nulla di tutto questo, dobbiamo, tuttavia, stupirci. «Se ci fosse un popolo di divinità, si governerebbe democraticamente», scrive Jean-Jacques Rousseau. «Una forma di governo così perfetta da non essere adatta agli uomini». E C. Bradatan, professore di Humanities, autore di un geniale libro sulla filosofia «Dying for ideas. The dangerous lives of the philosophers (Bloomsbury, 2015)» così commentava queste parole in un editoriale sul New York Times: «Non c’è da stupirsi che sia una battaglia persa. Una vera democrazia non fa grandi promesse, non seduce né incanta, ma aspira solo a un certo livello di dignità umana. Non è sexy. Rispetto a quanto accade nei regimi populisti, è una cosa freddina. Chi mai sceglierebbe le noiose responsabilità della democrazia piuttosto che la gratificazione istantanea di un demagogo, o la frigidità contro l’estasi? Eppure, nonostante tutto, l’idea di democrazia qualche volta si è quasi incarnata – dei momenti di grazia in cui l’umanità è forse riuscita a sorprendere se stessa…. Eppure la democrazia è una di quelle cose inafferrabili – come la felicità – la cui promessa, anche se perpetuamente rinviata, è più importante della sua stessa esistenza. Potremmo non ottenerla mai, ma non possiamo permetterci di smettere di sognarla».
LA STAMPA
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