Senza le riforme il Pnrr fallisce

Massimo Cacciari

Le spesse coltri di fumo su argomenti magari importanti, ma oggi non certo nelle cure del 99% dei nostri concittadini, tipo Gay Pride, vicende Rai, utero in affitto e via dicendo, coprono drammatici problemi che i nostri nocchieri non sembrano in grado di affrontare. Che essi dovessero emergere era inevitabile. Il primo riguarda la “messa a terra” del famoso Pnrr. Già la redazione draghiana avrebbe dovuto sollevare fondate perplessità. In essa debordavano, svolti spesso in una chiave retorico-ideologica, i nobili temi della innovazione, digitalizzazione, green economy. I necessari interventi hard su infrastrutture viarie e ferroviarie, per metter finalmente mano a massicce opere pubbliche per un’efficace difesa del nostro dissestato territorio, quelli per segnare un deciso cambio di rotta in tema di rilancio delle politiche di Welfare, seguivano a rispettosa distanza nella mente dei suoi tecnici redattori.

Con la conseguenza di trovarci oggi di fronte a una scomposta rincorsa da parte di miriadi di enti per miriadi di progetti “innovativi” e a opere pubbliche indispensabili come gli stadi per il calcio, che in tutto il mondo sono affare dei privati.

Ma il nodo che oggi viene al pettine è un altro, anch’esso ben prevedibile. L’attuazione del Pnrr era strettamente collegata a un piano organico di riforme. In questo almeno le Autorità europee erano state chiare. Il Piano poteva e può costituire un effettivo rilancio economico-sociale soltanto se si modificano le strutture amministrative e le procedure con cui svilupparne gli obbiettivi. Si veda il contenzioso sulla Corte dei Conti. La diatriba tra rigore ragionieristico e velleità decisionistiche è destinata a durare in eterno fino a quando non si approntano norme nuove in materia di controlli e appalti e non si dotino gli enti pubblici di strutture tecniche adeguate. Senza semplificazione amministrativa, sburocratizzazione, testi unici, superamento del conflitto di competenza tra amministrazioni pubbliche, continueremo a baloccarci tra vuote ideologie efficientistiche e altrettanto impotenti velleità controllistiche. Ancora più evidente l’esempio della sanità. Potremo anche stanziare miliardi di miliardi senza ottenere alcun effetto fino a quando non si comprende che è sballato l’assetto istituzionale del sistema, in cui ogni Regione è pressoché sovrana, in cui nessuna Autorità di fatto regola e coordina la spesa, in cui il rapporto tra pubblico e privato si squilibra a favore di quest’ultimo ogni giorno di più. E tutto questo rimanda di necessità a una profonda revisione in tema di Autonomie e di riassetto dei poteri tra i diversi soggetti che per la Costituzione compongono il nostro Stato. Diritto fondamentale la possibilità di accedere a cure mediche, altrettanto quello dell’istruzione. Capitoli fondamentali di quello Stato sociale che sta cadendo a pezzi. Come la sanità così la scuola, che ha cessato di funzionare come promozione sociale, opportunità primaria per la crescita culturale ed economica della persona. E saranno investimenti in computer e nuovi apparecchi per didattica on line e via cantando le meravigliose e progressive sorti della Tecnica a migliorare la situazione? O non piuttosto docenti motivati e decentemente pagati? O non piuttosto borse di studio, pre-salari, case per lo studente?

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