Nella masseria del potere. La regia di Vespa sullo show di Meloni tra orecchiette, bollicine rosate e manager
dal nostro inviato ILARIO LOMBARDO
MANDURIA (TARANTO). Bruno Vespa è fermo sulla ghiaia, con un’impazienza ben mascherata. «Ma come? Sono ancora tutti in piedi? Non va bene, non va bene. Avevo detto che dovevano essere pronti. Portateli ai tavoli, subito. Devono essere tutti seduti ai loro posti. Appena lei arriverà, si alzeranno per salutarla». La notte è abbastanza afosa, a pochi passi dalla piscina illuminata, tra cactus e ulivi, il conduttore tv impartisce ordini al telefono mentre attende che Giorgia Meloni esca dalla suite per la cena. È giovedì sera, la premier è atterrata in ritardo, l’intervista con Vespa che avrebbe dovuto aprire la rassegna nella masseria salentina del conduttore Rai è stata rinviata all’indomani. Sono un paio d’ore che gli ospiti bighellonano, incuriositi e affamati. Qui li chiamano tutti sponsor.
Sono manager, dirigenti di azienda, banchieri. Seguono la rotta del nuovo potere, affidandosi al suo regista. Bruno Vespa è tante cose. Un giornalista con la passione del ragazzo di bottega, il rumore delle rotative ancora nelle orecchie e il fiuto del cronista (la memoria gli riporta a galla un viaggio a Madrid con Sandro Viola e Bernardo Valli – «Erano inseparabili» – e quella volta in cui la madre a L’Aquila gli portò il caffè a letto e il giornale, Il Tempo, con il suo pezzo terminato a notte inoltrata: «Avevo 17 o 18 anni»). Il maestro di cerimonia della politica italiana, padrone unico e assoluto di un salotto televisivo che si è guadagnato il nome di Terza Camera, dove si sono seduti tutti. Persino Beppe Grillo: «Ma ancora Elly Schlein non è venuta». Con Meloni c’è un grande feeling, e lei lo ha preso un po’ da consigliere. «Studia, e lo fa ad ampio spettro. Poi sapete quale è la sua forza a livello internazionale?». Quale? «Sa le lingue». È un vignaiolo, proprietario di un masseria a cinque minuti di macchina da Manduria, orgoglioso delle sue etichette che qui spuntano ovunque e che sono protagoniste di un libro lasciato in bella mostra, dove ogni vino della casata è abbinato a un piatto di uno chef italiano rigorosamente tristellato (si parte con il Brut Rosé Noitre per accompagnare il rognone con sorbetto di senape di Massimiliano Alajmo): un libro scritto da Vespa, sui vini di Vespa, per gli ospiti di Vespa. Ma Vespa è soprattutto una cosa quando lo vedi in azione, dal vivo, anche nella sua Masseria, con un caldo che scioglie la concentrazione a chiunque, non a lui. È un regista. Ha il montaggio in testa. Taglia e cuce con gli occhi e con gli occhi controlla ogni cosa, e ogni cosa deve essere funzionale a questo teatro all’aria aperta e in movimento.
Al suo fianco c’è sempre il suo storico autore Maurizio Ricci. «Sono con lui dal secondo anno di Porta a Porta. Prima ho fatto un po’ di film con Ermanno Olmi». Ma la vera curatrice dei dettagli e della messa in scena finale è Donna Augusta Iannini, sua moglie dal 1975. Sceglie la fragranza melogranata che assale gli ospiti in soggiorno, si lamenta che le telecamere impallano la vista del palco dove il marito intervista Meloni, cambia all’ultimo le tovagliette per la cena, vigila sui giornalisti non accreditati sospettati di scrocco aggravato, «Se non glielo dici tu, prendo il microfono io e mi sentono…». «Non lo fare, per carità», la ferma Vespa.
Tutto è pronto, tutto deve funzionare perfettamente. Ovviamente sono le sbavature a dare profondità alla giornata, l’ironia di una terrazza romana “ettorescoliana” in trasferta in Salento, fatta di sudore, sbuffate, noia, caccia al piatto di orecchiette pomodoro e cozze, e dove spunta anche una principessa con uno splendido corallo al collo. È Carolina Theresa Pancrazia Galdina zu Fürstenberg: in breve Ira von Fürstenberg, è qui in qualità di zia di Ernesto Fürstenberg Fassio, presidente di Banca Ifis. Nobili e contado. Un fuori programma sono i coltivatori di ciliegie che entrano nella tenuta e si fiondano su Meloni prima dell’intervista. «Venga presidente, una foto con le nostre ceras’». In fondo, anche loro hanno bisogno di uno sponsor, non hanno esperti a disposizione e si attrezzano come possono: urlano.
Gianluca Comin, fondatore e guida di Comin&Partners, si rallegra: l’organizzazione sta andando liscia, i manager e gli imprenditori che ha portato in Puglia sembrano soddisfatti. Ha solo un cruccio: nessuno si fila il ministro della Salute Orazio Schillaci, l’unico presente prima dell’arrivo del ministro-cognato Francesco Lollobrigida e di Guido Crosetto. Il clima sarebbe disteso e informale, se non fosse per lo zelo degli agenti che su ordine dello staff di Meloni, eternamente in ansia per i giornalisti, blindano entrate e uscite del labirinto di tufo della masseria seicentesca che fu delle monache benedettine e che a fine Ottocento il neonato Stato italiano sequestrò e mise all’asta. Il bisticcio con la polizia avviene di fronte a una signora in bikini e panama che prende il sole su una sdraio di fronte alle piccole piscine in stile termale. È la signora Palenzona. Il marito, Fabrizio, un passato nella Margherita, ex Unicredit e oggi presidente di Aiscat Servizi, è in prima fila a sorridere e ad applaudire alle battute di Meloni. Gli applausi e le risate sono ripetute. Quando attacca Schlein, quando difende i Paesi di Visegrad e accenna qualche smorfia contro Bruxelles (qui la battuta migliore su Polonia e Ungheria è di un collega cronista: «Sta dicendo che è colpa del comunismo se sono fascisti»).
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