La cura della Bce è l’unica giusta, il governo pensi alle riforme

Stefano Lepri

Doveva succedere. O meglio, era probabile che succedesse, questa gelata brusca dell’economia italiana segnalata dalla produzione industriale, pur se si sperava di poterla evitare. Dopo il forte aumento dei tassi di interesse che la Bce ha deciso da dieci mesi a questa parte, le imprese hanno cominciato a risentirne, e hanno ridotto l’attività.

Piaccia o no, è questa l’unica cura disponibile contro l’inflazione che corre, e che ha ridotto il potere d’acquisto di noi tutti. Si era sperato che questa volta potesse essere meno dolorosa: ovvero, che calibrando bene, si potesse realizzare un rallentamento capace di allentare le pressioni sui prezzi senza arrivare a una recessione vera e propria, dove qualche posto di lavoro andrà perso.

È difficile trovare la misura giusta per 20 Paesi diversi tra di loro. Basti pensare che a fronte di questo cattivo andamento della produzione in aprile in Italia la dinamica del costo della vita è rallentata meno che nei Paesi vicini. Lo stesso fattore che finora ci aveva sostenuto, il buon afflusso di turisti, ha probabilmente contribuito all’aumento dei prezzi.

Va detto che il governo non ha nessuna colpa diretta. Si è però fatto male da solo, sopravvalutando il significato di alcuni dati congiunturali positivi di inizio anno: ancora ieri mattina, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vantava che il nostro Pil era cresciuto oltre la media europea. E nelle settimane scorse il Tesoro aveva fatto circolare critiche contro certi previsori non abbastanza ottimisti.

Siamo tutti nella stessa barca, nell’area euro. Entriamo in una fase delicata perché si cominciano ad avvertire gli effetti negativi della stretta sui tassi quando ancora l’inflazione non è discesa abbastanza. Anche questo era prevedibile: gli studi sul passato mostrano che occorre circa un anno e mezzo prima che il caro-denaro si rifletta in pieno sull’andamento degli affari.

Sbagliare è facile proprio a questo punto. Milton Friedman, maestro del neoliberismo, pur essendo del tutto convinto che la cura contro l’inflazione siano gli alti tassi, esortava a non comportarsi come “lo sciocco nella doccia” a rischio di scottarsi o gelarsi perché non si rende conto che occorrono parecchi secondo prima che il gesto sul rubinetto modifichi la temperatura dell’acqua.

Proprio per evitare questo pericolo, le banche centrali agiscono sui tassi con mosse successive (sette finora per la Bce, in 10 mesi) valutando nel frattempo tutti i segnali disponibili. Sotto la doccia si può provare e riprovare per ottenere il risultato voluto; e qui il paragone cessa di essere utile, perché se si fa una pausa troppo lunga si rischia di dover stringere molto di più, e più dolorosamente, dopo.

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