Silvio Berlusconi è morto

di Antonio Polito

Silvio Berlusconi è morto oggi, all’ospedale San Raffaele di Milano. L’ex premier, leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni

Silvio Berlusconi è morto

Silvio Berlusconi è morto all’ospedale San Raffaele di Milano. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni. Berlusconi era tornato al San Raffaele lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una leucemia mielomonocitica. In mattinata, il fratello Paolo e i figli erano accorsi in ospedale, dove già si trovava Marta Fascina. Qui sotto, l’articolo firmato da Antonio Polito.


Se si dovesse fare l’anatomia di un istante, nella straordinaria vita di Silvio Berlusconi, forse si dovrebbe scegliere la sera dell’ 8 novembre 2011.

Non il giorno in cui aprì il suo primo cantiere edile, a Brugherio, nel 1964, o fondò la Fininvest, nel 1975, aprendosi la via di un impero televisivo e finanziario che lo rese uno degli uomini più ricchi del mondo. Né il giorno in cui scese in campo, avviandosi a vincere tre elezioni e mezzo e a guidare quattro governi per il tempo record di nove anni. Né la volta che scese con l’elicottero sul campo dell’Arena per inaugurare l’epopea del Milan, che vinse cinque Champions e otto scudetti in trentuno anni.

No. Berlusconi si è preso nella sua vita tanto di quel potere, che il vero magic moment, l’istante da raccontare, è quello in cui l’ha perso.

Le cose stavano così: l’Italia andava a rotoli per via dell’attacco dei mercati al nostro debito pubblico. Spread oltre 500 punti. Merkel e Sarkozy che ridevano in pubblico di lui. L’Europa che aveva paura di affondare insieme all’Italia. Gianfranco Fini si era fatto un partito ed era passato all’opposizione. Otto deputati, tutti ex «fedelissimi», tradiscono il Cavaliere in un voto decisivo, facendogli perdere la maggioranza a Montecitorio.

Ma lui vuole resistere. Non mollare. Non dimettersi da premier. «Così deve fare Berlusconi», gli suggeriscono tutti quelli intorno a lui, che hanno sempre vissuto di luce riflessa e vogliono tenerla accesa. Ma poi arrivano due telefonate. La prima è di Ennio Doris, amico e antico socio in Mediolanum: «Silvio, se non ti dimetti l’Italia crolla». La seconda è del figlio Luigi, che lavora nella City a Londra: «Papà, se l’Italia crolla crollano anche le nostre aziende».

Così il Cavaliere nero, il Caimano che nel film interpretato da Nanni Moretti alla fine sobilla la rivolta popolare pur di non cedere il potere, si dimette accettando la logica inesorabile della politica democratica. E in un solo pomeriggio l’argomento più usato contro di lui, il «conflitto di interessi» tra aziende private e funzione pubblica, si rovescia nel suo contrario. Dopo aver inseguito il potere, secondo i suoi nemici solo per il suo interesse, deve rinunciare al potere anche nel suo interesse.

La dimensione «larger than life», fuori dall’ordinario, della vicenda umana e politica del Cavaliere è tutta nel momento in cui lasciò per sempre Palazzo Chigi (e che lui poi più volte derubricherà a mero «complotto», facendo così torto innanzitutto a se stesso e alla scelta responsabile che fece). A quella giornata a suo modo storica non fecero onore i cori di «buffone, buffone» sotto Palazzo Chigi e le ali di folla festanti davanti al Quirinale per le sue dimissioni. Come nella sera delle monetine a Craxi, si mostrò allora un’Italia capace di codardo oltraggio, dopo lunghi anni di servo encomio.

Perché Berlusconi è stato un fenomeno: volontà di potenza, certo, ma anche necessità storica. Insieme il frutto del male italiano e allo stesso tempo il suo tentativo di cura. Non il malfattore che conquista un popolo ingenuo con dosi da cavallo di imbonimento televisivo, come è stato descritto; ma neanche il salvatore della patria che libera il suo paese dai cosacchi di Occhetto, il primo dei tanti leader della sinistra da lui sconfitti. Piuttosto, nel bene e nel male, il fondatore di una nuova destra e di una nuova politica, con ambizioni liberiste e tratti populisti, che ha fatto scuola nel mondo e ha dominato la scena italiana per un ventennio, anche quando era all’opposizione. E che poi è finita con lui, tant’è che per tornare a vincere ha dovuto cambiare pelle, sesso, età, e incarnarsi in Giorgia Meloni, antropologicamente il suo contrario.

I professionisti dell’antiberlusconismo l’hanno accusato di ogni crimine. Ed è vero che più di venti processi sono stati intentati contro di lui, con imputazioni varie, talvolta particolarmente infamanti, come lo sfruttamento della prostituzione minorile nella persona di Ruby Rubacuori, una delle tante partecipanti alla sarabanda di ragazze che ospitava nelle sue ville; o come il sospetto di collusione con la mafia che ha portato uno dei suoi più grandi amici e compagni d’arme, Marcello Dell’Utri, alla condanna e al carcere; o addirittura l’accusa di aver ordito le stragi del 1993 per accelerare il proprio trionfo politico. Da quasi tutte le imputazioni è uscito assolto, prosciolto o comunque prescritto, anche grazie alle arti dilatorie del suo stuolo di avvocati, guidato dal fido e ormai scomparso Ghedini. E dunque, se si deve credere alla Legge, quella dei giudici e non solo quella dei procuratori, Berlusconi ha compiuto un solo reato: frode fiscale, per cui è stato condannato con sentenza definitiva. Gli è costata una rapida defenestrazione dal Senato, la cui maggioranza del tempo non perse l’occasione e a scrutinio palese ne sancì l’incompatibilità (il Cavaliere ha poi avuto piena riabilitazione giudiziaria, e si è potuto ricandidare ed essere eletto, prima al parlamento europeo e poi di nuovo al Senato, dove ha ripreso il suo posto).

Naturalmente l’uomo non era per niente uno stinco di santo, anzi: aveva i suoi vizi privati e pubblici e sapeva come giocare sporco. C’è chi gliel’ha rimproverato fino all’ultimo, senza pietà, come il suo arci-nemico Carlo De Benedetti, che perfino mentre l’avversario era in ospedale col Covid gli fece sì gli auguri, ma ribadendo che per lui era pur sempre «un imbroglione».

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