Silvio Berlusconi, il presidente di tutti
Presidente, sempre. Di Forza Italia prima, del centrodestra unito poi. Il Pdl. Ma soprattutto presidente del Consiglio. Premier, per ben quattro volte. Presidente, anche fuori dai Palazzi della politica. Presidente dai campi da calcio all’editoria. Dal sogno rossonero al Giornale di Indro Montanelli. Il nostro Giornale.
Lui, il Cav. Che più di tutti ha contribuito a rendere grande il nostro Paese, creando posti di lavoro e ricchezza. Cavaliere del lavoro, appunto. Ma anche Cavaliere dei sogni. Perché è sempre riuscito a vedere il futuro laddove ancora non c’era nulla. Case, strade, asili, parchi: intere città, pensate e costruite a misura d’uomo. E tutti questi sogni li ha fatti brillare sin dentro alle case degli italiani. Canale 5, l’ammiraglia. E poi Italia1 e Rete4. Un nuovo modo di fare televisione, libero dal monopolio statalista della Rai. Un nuovo modo di raccontare l’Italia, tutto proiettato nel futuro.
Per tutti era semplicemente Silvio. Perché era così che parlavano di lui. E non certo per mancargli di rispetto. Tutt’altro. In ognuno di noi, in un modo o nell’altro, c’è un pezzo (grande o piccolo) di lui, di Silvio. Nessuno tra i grandi capitani d’industria del passato, tra i giganti dell’imprenditoria di oggi o tra i capi di Stato che hanno segnato la politica della nostra Repubblica, è mai riuscito, infatti, a fare quanto lui. Tutti grandi nel loro settore, Berlusconi grande in tutto.
C’è probabilmente un’immagine che più di tutte racconta al meglio questo attaccamento degli italiani al Cav. È il 9 aprile del 2009. Tre giorni prima, alle 3:32 di notte, un terremoto ha devastato il Centro Italia. L’Aquila e tutt’intorno la provincia sembrano appena state bombardate. È un dramma per i morti (più di 300) e per i feriti (più di 1.600) ma anche per tutte quelle persone che sono rimaste senza una casa dove ripararsi, un letto su cui dormire, una tavola attorno a cui raccogliersi e mangiare. È l’immagine di un’Italia in ginocchio. Berlusconi vola subito sul posto. Il sopralluogo nella zona rossa e lì incontra un’anziana signora. È in lacrime, si trascina verso di lui e chiede il suo conforto. “Non c’è più niente!”, gli dice. E poi, dandogli del tu: “Silvio aiutaci, Silvio! Silvio, aiutaci! Non c’è più niente!”. E lui, lì da presidente del Consiglio, a rappresentare lo Stato, ad affermare col corpo e la presenza che lo Stato c’è, non risponde solo da premier. Risponde, soprattutto, da Silvio. La abbraccia, la consola. “Facciamo tutto, guardi – le promette – vedrà che l’Italia risponde”. “Nemmeno i denti c’ho più! Stanno là dentro!”, fa lei indicando la casa in macerie. “Glieli recuperiamo, signora, le recuperiamo tutto. Stia tranquilla”.
È con la stessa familiarità che gli italiani gli hanno sempre dato del tu almeno una volta nella vita. Perché se nomini Silvio è matematico che parli di Berlusconi. Allo stadio, sicuramente. Da quel febbraio 1986 in poi. L’ingresso colossale in elicottero e poi, a raffica, gli scudetti, le cinque Coppe dei Campioni, il Milan nel cuore. Silvio anche per gli avversari. In campo come in parlmento. Un amore, quello con la politica, che ha avuto inizio nel 1994 con un video che ormai tutti conoscono a memoria: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà”. Forza Italia e il progetto liberale. Un intero popolo che si è riconosciuto in lui, al di là del partito. “Presidente siamo con te – cantavano – meno male che Silvio c’è”. Senza specificare il cognome. Non ce n’è mai stato bisogno. Nemmeno per i nemici più feroci.
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