Quel gesto inatteso tra Marina e Marta simbolo dell’impero in mano a due donne
Concita De Gregorio
Marina Berlusconi e Marta Fascina per mano. La primogenita e l’ultima fra le favorite, l’unica per cui ha messo infine la fede al dito, sarà stata l’età. Tenete a mente questa immagine, perché torneremo qui: alle due donne che da stamattina meneranno la danza, che nemesi. Che testacoda della storia che alla fine siano due donne, per chi delle donne ha fatto strame, a detenere l’eredità dell’impero. Bisognerà che i maschi alfa ci facciano i conti, così va la storia. Vi è chiaro? Ma prima la cronaca, che della Storia è madre. La cronaca dei fatti.
Meno male che ci sono i droni, benedetta tecnologia, così dopo millenni di filosofiche speculazioni sappiamo di che materia sia fatto l’animo umano. L’anima sono cinquemila palloncini azzurri che volano via dalla sede di Mediaset nel minuto esatto in cui la bara esce dal Duomo. Meno male che ci sono le dissolvenze e le doppie inquadrature, così anche chi avrebbe bisogno delle didascalie, altrimenti, delle scritte e dei disegni a fumetti – basta invece una regia sapiente, per ogni cosa, come ognun sa – capisce benissimo, coi palloncini azzurri che volano via come scappati di mano a un bambino. Il feretro esce dalla Cattedrale, le spoglie mortali custodite nella bara («che arriva dal paese di Caravaggio, il legno pare che sia lo stesso delle chitarre di Jimi Henrix», la telecronaca di Canale Cinque, vi prego) si avvia verso il viaggio estremo di ritorno ed ecco che, stacco, dissolvenza, da Cologno Monzese dove tutto è iniziato vola via l’anima del Fondatore. Abbandona la sede di quella che fu Publitalia 80, l’inizio di ogni cosa, colora il cielo dell’hinterland milanese e ondeggia, indugia, forma forme impreviste, si disperde e infine se ne va, sempre più in alto verso l’infinito e oltre. Il Paradiso, probabilmente. Lascia quei palazzoni orfani del genio che li ha resi grandi. Restano senz’anima, appunto, quelle innumerevoli temute stanze: restano vuote, e quel che c’è da dire è tutto qui.
Ma invece no. Invece c’è da raccontarla questa cerimonia che fa sembrare i funerali della Regina Elisabetta una pratica domestica svolta nell’orto di casa, fra le petunie. Quelli di Gianni Agnelli un disbrigo di faccende aziendali, così composta, così gerarchica militare e torinese. Questa no, questa è un’apoteosi di vedove truccate con sapienza per sembrare senza trucco e sfingee, dunque. Candide di sapiente carnagione a decine, fra i banchi. Di miracolati devoti a centinaia, di ministri ex ministri anziani dirigenti e sempiterne soubrette, di maggioranza e opposizione, Gerry Scotti e l’emiro del Qatar, Jo Squillo e Viktor Orban, la curva sud del Milan e le commesse della Rinascente. I figli nel numero di cinque, splendida la piccola Eleonora, hai visto? Con la veletta e gli strass ai piedi, poi Franco Baresi, i nipoti dalle lunghe chiome, Mario Draghi, Lele Mora che ha scelto una camicia con la scritta “innocent”, cosa mai avrà voluto dire, Zvonimir Boban come era nel poster in cameretta, più interessante superati i cinquanta, l’enigma Marta Fascina incastonata fra i figli di primo letto ormai quasi sessantenni. Accogliere in famiglia l’altro giorno chi ti terrà la mano al funerale di tuo padre è un lavoro anche quello: massimo rispetto. E il presidente Mattarella, immobile, costretto nelle inquadrature appunto accanto al baffuto spaesato Emiro, si vede che il cerimoniale non ha potuto far di meglio. Del resto dall’estero sono venuti solo lui, il ricchissimo emiro, il primo ministro albanese, quello iracheeno, Orban. Forse il mondo, all’Italia straziata nel lutto, sta dicendo qualcosa. Ma andiamo avanti. Cominciamo, anzi.
Sono le tre in punto quando il feretro arriva in Duomo. Ha da poco lasciato la villa di Arcore, che ora dall’alto sappiamo essere stata costruita come la prua di una nave. La salma salpa a bordo di una Mercedes, carro funebre aerodinamico, navicella spaziale. Attraversa campi periferici di villette con videocitofono, bambini le cui braccia sono mosse da genitori che hanno scritto sui cartelli “Mi consenta”, bambini incolpevoli. In Duomo arrivano Emanuele Filiberto fresco di abdicazione in favore della figlia femmina, Maurizio Gasparri e Massimo Boldi assai provato, Fabio Capello, Mauro Crippa e Gad Lerner, Augusto Minzolini, Silvia Toffanin che in nero siede nel banco davanti a quello di Gianni Letta e di suo figlio Giampaolo, presidente di Medusa. Giorgio Gori, a 29 anni capo dei programmi Mediaset, incrocia Adriano Galliani, dirigente sportivo ex senatore. Angelino Alfano, uno dei tanti delfini spiaggiati, incrocia Federica Panicucci, conduttrice tv. Sugli schermi di Canale Cinque, sovrastati dalla scritta “Grazie Silvio”, dialogano Cesara Bonamici e Barbara Palombelli, entrambe commosse. «Ti stai commuovendo». «Sì ma puoi farlo, sono tutti commossi». Palombelli parla di un’amica di mamma Rosa, Bonamici rievoca l’ultima foto al baretto di Milano 2, col ghiacciolo.
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