Il naufragio dei migranti in Grecia: «Cento bambini nella stiva». Le vittime potrebbero salire a 600
di Gianni Santucci
Fermati nove scafisti egiziani. Le salme recuperate sono 78, centinaia i dispersi. Il medico dell’ospedale: «Tra i 104 sopravvissuti c’è chi ricorda molti minori sottocoperta»
DAL NOSTRO INVIATO
ATENE
— La notte non porta nuovi sopravvissuti.
Non porta neppure altri corpi di morti (per ora 78). L’alba illumina
soltanto voci d’altra disperazione. Dei 104 messi in salvo, una trentina
sono in ospedale. Una dozzina passano l’intero pomeriggio sotto
interrogatorio negli uffici della guardia costiera: nove, in serata,
finiscono in arresto, accusati di far parte dell’equipaggio al comando
del peschereccio affondato. Sono tutti egiziani. Il comandante sarebbe riuscito a scappare nel pomeriggio prima del naufragio, ma non ci sono conferme della testimonianza raccolta dagli attivisti di Alarm Phone.
Gli altri salvati, gli innocenti, sono rimasti in un silos d’acciaio
azzurrognolo nel porto di Kalamata, Peloponneso sud-occidentale, prima
di venire trasportati (tra ieri sera e oggi) in una struttura di
accoglienza a Malakasa, non lontano da Atene.
Tre giorni in mare
Sono gli unici sopravvissuti (tutti uomini) al naufragio del peschereccio che s’è ribaltato a 80 chilometri dalla costa greca nella notte tra martedì e mercoledì. Secondo le testimonianze raccolte dalla polizia, avrebbero pagato tra i 4 e i 7 mila dollari per il viaggio, e sarebbero partiti dalla Libia orientale, zona di Tobruk, Cirenaica, il 10 giugno. Quando è scattato l’allarme, erano dunque in mare già da tre giorni, con poca acqua e pochi viveri. Tre giorni in cui il peschereccio ha avuto due guasti al motore, riparati in qualche modo da chi era al comando. Fino alla rottura definitiva, nel pomeriggio di martedì, e l’inizio della lenta deriva, a 45-50 miglia nautiche da Pylos.
«Non si trova nessuno»
Una soccorritrice dell’Hellenic rescue team racconta: «I sopravvissuti hanno fame, sete. Cercano di farsi capire a gesti». Anche loro, cercano i dispersi. «Sono in totale stato di choc — racconta ieri all’agenzia Ap Erasmia Roumana, capo delegazione dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati — Chiedono di potersi mettere in contatto con le famiglie. E continuano a chiedere dei dispersi. Sul peschereccio avevano amici, parenti, figli. E di tutte queste persone che mancano, non si trova nessuno». Un ragazzo egiziano, di fronte alle telecamere, implora un aiuto per ritrovare il cugino, che era a bordo con lui. Soprattutto, non si trovano i bambini.
I bambini mancanti
Dicono che ce ne fossero molti, nella stiva. Almeno 50, forse 100. Le stime ipotizzano, in totale, 750 migranti a bordo. Considerato che le persone in salvo sono 104, il numero delle vittime potrebbe essere enorme, più di 600. In ospedale a Kalamata ieri mattina c’erano ancora 29 persone. Manolis Makaris, cardiologo, ha parlato dello stress dei ricoverati, e soprattutto di chi chiama per sapere se ci siano bambini: «Per tutta la notte mi hanno mandato foto di minori per scoprire se sono stati salvati. Alcuni sapevano che c’erano bambini nella stiva». Quanti? «Ci sono testimonianze diverse, alcuni dicono 50, altri 100, nessuno di loro può sapere con precisione chi ci fosse sottocoperta».
Tante versioni
I magistrati greci hanno aperto un’inchiesta. L’organizzazione Alarm Phone fornisce una ricostruzione dettagliata dei contatti col peschereccio, tra le 14.17 e le 20.05 di martedì, quando la barca già in mattinata viene comunque individuata da un aereo dell’agenzia Frontex, e avvicinata da almeno sette imbarcazioni, tra qui lo yacht che trasporterà i sopravvissuti, il mercantile Lucky Sailor che riesce a fornire acqua, alcune vedette della guardia costiera greca che, secondo la versione delle autorità elleniche, avrebbero ricevuto due informazioni: il peschereccio non era in imminente pericolo e le persone a bordo intendevano proseguire verso l’Italia. Versioni che potrebbero essere smentite, e che sono ora al centro delle polemiche internazionali. Ha detto l’ammiraglio della guardia costiera greca in pensione Nikos Spanos: «La nave era un cimitero galleggiante, una barca molto vecchia. Di solito donne e bambini in tali viaggi li mettono sul fondo. Li bloccano in modo che non possano muoversi. Il ministero della navigazione è stato informato tramite Frontex. L’Italia ci ha “affidato” l’incidente poiché si stava svolgendo nella nostra zona. La nave era in difficoltà. In un caso del genere, lo stato greco doveva agire immediatamente. Far partire il piano operativo, le barche di soccorso dovevano precipitarsi nell’area».
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