L’Europa disumana
Annalisa Cuzzocrea
L’abisso dell’Europa è nelle parole prive di pietas e prive di senso che sa pronunciare all’indomani di una tragedia come quella di Pylos. Ci sono, secondo tutti i testimoni, 600 persone che mancano all’appello: erano partite dall’Egitto, transitate dalla Libia, arrivate nel mar Egeo. La barca su cui erano stipate non è stata soccorsa in tempo, anche se – è un copione già visto – un aereo di Frontex l’aveva avvistata, la Guardia Costiera di Atene era stata allertata.
C’erano, anche questo lo dicono tutti i testimoni, bambini e donne chiusi – chiusi – nella stiva. Cento bambini, quaranta bambini, di nulla si ha certezza tranne che in tantissimi erano lì e adesso non ci sono, tra i superstiti. Non ci sono né donne né bambini, tra i sopravvissuti di un barcone che si è inabissato e che nessuno pensa neanche più a cercare. A Kalamata, nel Peloponneso che è meta di viaggi da sogno, ci sono ombre che si aggirano con fotografie plastificate in mano e chiedono: “È mio fratello, qualcuno lo ha visto”. Sono palestinesi, siriani, egiziani, pachistani. Fuggivano per salvarsi e l’unica cosa che la fortezza Europa sa dire è: “Non dovete partire”. Senza sforzarsi neanche un istante di immaginare vie legali che possano mettere fine a tutto questo. E quindi è qui, l’abisso: mentre i militari greci controllano a vista il campo in cui sono stati portati i salvati, mentre il conto dei cadaveri continua – 78, per ora – Giorgia Meloni incontra il premier maltese Robert Abela e dice con linguaggio burocratico: «Abbiamo convenuto che senza una adeguata difesa dei confini esterni dell’Ue diventa molto più difficile parlare di movimenti secondari». Bisogna pensare ai “movimenti primari”, su questo Italia e Malta sono d’accordo, e così sappiamo che insieme hanno lavorato «per cambiare il punto di vista della commissione Ue».
Si parla di flussi migratori, ma la tragedia di Pylos non merita neanche una dichiarazione a latere. È una delle peggiori di sempre, ricorda quella del 3 ottobre 2013, quando davanti all’Isola dei Conigli ci furono 368 morti. O quella del 2015, quando a inabissarsi nel canale di Sicilia, a sud di Lampedusa, fu un barcone con a bordo tra le 700 e le 950 persone. E i sopravvissuti furono solo 28. Parliamo di numeri simili, forse maggiori, ma per l’Europa è come fosse ordinaria amministrazione. Il portavoce della commissione europea fa sapere che Frontex non può fare che segnalare alle autorità competenti. E quindi, è il sottotesto, “che volete da noi?”. La commissaria agli Affari interni Ylva Johannson, che pure difende l’operato delle Ong che salvano vite in mare (le stesse che il governo italiano ostacola), si limita a dire: «Penso che questo naufragio sia il segno del fatto che la nostra politica migratoria al momento non funziona bene». Si direbbe un eufemismo, se ci si potesse prendere il lutto di essere ironici davanti a una tragedia.
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