Così siamo il coccio tra i vasi di ferro
Stefano Lepri
Meglio che l’Italia abbandoni le idee velleitarie su cui si è trastullata per qualche mese. Sulle nuove regole di bilancio per i Paesi europei siamo a una stretta imprevista: da una parte la Germania, dall’altra la Francia. L’Italia non può che schierarsi con la Francia, con la quale in materia di finanza pubblica ha parecchio in comune.
Oltre non si può andare. Anche per tentare ricatti o cercare baratti servono alleati, tra i 27 dell’Unione e i 20 dell’euro. In teoria ha buone ragioni il ministro Giancarlo Giorgetti per sostenere che le spese per investimenti, almeno quelli importanti, andrebbero favorite. In pratica, è da quando esiste l’euro che ogni tanto si prova a trovare una regola chiara per farlo, e non ci si riesce.
Se si condivide una moneta occorrono salvaguardie perché gli eccessi di un Paese danneggiano anche gli altri. Però si è visto che una volta fissate le regole quasi tutte le maggioranze di governo sfruttano gli spazi concessi molto più per spese correnti, di più rapido effetto sugli elettori, che per spese volte al futuro. Da quando ci sono i vincoli – ossia il Patto di stabilità nelle sue tre successive versioni – quasi tutti i Paesi membri dell’euro hanno investito troppo poco. Ha investito poco l’Italia dandone la colpa alle regole e ha investito poco la Germania che talvolta ha persino strafatto nel rispettarle. Il problema non è facile da risolvere.
In Germania si era provato, con la Costituzione del 1949, ad adottare una formula semplice: lo Stato può far deficit solo per gli investimenti. Poi negli anni ci si era impantanati in discussioni senza fine su che cosa sia investimento. Dal 2009 si passò a una regola numerica, rigidissima nella lettera ma elusa con sotterfugi negli ultimi anni. Si ricorreva dunque a numeri precisi per litigare di meno. Ma più volte la realtà si è evoluta in modo diverso dai ragionamenti concordati. Il Patto del 1997 parve a un certo punto schematicamente rigido di fronte a una crescita economica infiacchitasi. L’allentamento concordato nel 2005 parve poi un errore di fronte al panico sui debiti del 2010-2011.
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