Crepet: «Il virtuale è spietato con i nostri ragazzi. E oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli»
Cosa è del conflitto generazionale?
«Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i
Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione
dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un
conservatorismo estremo. Pasolini sarebbe molto preoccupato, la sua
denuncia del consumismo si è inverata. Oggi il nonno compra le stesse
cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella
cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua
esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto
questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere
fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il
punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta
antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è
diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di
orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un
armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la
tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia,
l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria
identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
Ma ti sembra che si sia spento il desiderio, da quello sessuale a quello di cambiare il mondo?
«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di
intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è
assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si
voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che
c’è, ma l’invenzione del nuovo. Noi stiamo diventando soli e ne siamo
contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle
sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo
salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere
la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo
inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano
giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col
banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta,
non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è
tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà
sessuale uccidendo l’erotismo».
È giusto, come ha proposto Ammaniti, non dare ai ragazzi il cellulare prima dei dodici anni?
«So per certo che bisogna far venire ai ragazzi la voglia di fare a
meno di un uso parossistico del cellulare. Bisogna inventare altri
interessi, il bisogno di relazione e di scambio. Possibile che la
tradizione educativa italiana — Montessori, Lodi, Don Milani — non
produca una cultura del desiderio di conoscenza e di profondità? Io ai
ragazzi di quell’età non darei il cellulare, farei insieme a loro le
ricerche per aiutarli a decifrare i codici della comunicazione digitale.
Così come non capisco come si possa, da parte dei genitori, pensare di
geolocalizzare i figli. Se ne comprime la libertà per placare le proprie
ansie. Tutte ansie individuali. Bisogna fare insieme, non da soli».
Nell’esperienza delle generazioni precedenti l’unico momento di giudizio sociale era la scuola. Spesso duro ma contenuto nelle dimensioni. Ora ogni adolescente può essere destrutturato da un giudizio che diventa subito universale. Di qui il bisogno costante di conferme della propria autostima. È così?
«L’esposizione permanente, l’esistenza di un proprio pubblico, quello dei follower, il carattere virale di ogni forma di comunicazione costituiscono motivo di stress e di ansia. La scuola educava anche a conoscere le sconfitte, a far fronte a momenti di difficoltà e di delusione. La dimensione limitata del giudizio, quello delle mura di una classe, ti consentiva di ripartire, se eri caduto. Ora tutto è universale, rapido, spietato. Bisogna riconquistare una giusta dimensione del tempo, uscire dalla fretta del momento. Io credo che questa generazione smarrita cerchi ragioni per sognare e tornare a sperare. Dal buio si esce cercando la via. C’è bisogno di parole, di conflitti sani, di visioni che appassionino. Invece ci circonda il silenzio. Sembra, in questo tempo, che si possa solo aspettare Godot. Ma Godot non c’è».
CORRIERE.IT
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