Imprese e politica: Berlusconi e l’eredità difficile
Il punto è che il «fare imprenditoriale» è cosa assai diversa dal «fare politico». L’esperienza di Berlusconi attesta non solo questa diversità, ma altresì un dato storico importante: la difficoltà della classe imprenditoriale italiana a comprendere davvero i meccanismi della politica, a entrare nelle sue logiche, e dunque il semplicismo, l’atteggiamento troppo spesso di facile superiorità con cui molte volte i suoi esponenti si avvicinano alla politica e a chi vive di essa e per essa. Si tratta di una difficoltà/estraneità nella quale pesa in misura decisiva un ulteriore dato. Il fatto che non ci si può immedesimare nella politica, non si può sentirla come cosa propria, sentire la passione di «farla» — che in ultimo, per l’appunto, vuol dire la passione di decidere per conto e nell’interesse della propria comunità — se non si ha quello che si chiama il senso dello Stato, di quello Stato che non è altro che l’organizzazione politica di una comunità. Se non si la consapevolezza dell’importanza cruciale delle sue istituzioni, della loro storia, del loro valore, della loro utilità. È una tale consapevolezza, che al pari di molti suoi colleghi Silvio Berlusconi non aveva nella misura necessaria e che contribuisce a spiegare i limiti della sua azione politica e della difficile eredità che egli lascia a Forza Italia.
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