Le vacanze infinite di Di Battista: «Eccomi a Quito, poi l’Amazzonia»
A rileggerle adesso: talento puro, profondità di analisi: «Ogni giorno vengono a galla nuove ingiustizie, ma la speranza non muore mai»; «Sulla strada c’è un traffico infernale»; «Le donne cucinano tortillas, mentre gli uomini spremono le arance e ti servono un succo semplice o rinforzato con un uovo crudo di quaglia».
Un mito. Il Foglio, in realtà, lo definisce un «mitomane a 5 Stelle». Il New York Times lo inserisce nell’elenco dei politici «ballisti». In effetti, da deputato: promise ai pugliesi di chiudere il Tap in due settimane, suggerì di trattare diplomaticamente con quelli dell’Isis, annunciò che in Grecia decine di cittadini esasperati dalla crisi economica si iniettavano il virus dell’Aids, convinse Luigi Di Maio ad andare in Francia ad abbracciare i gilet gialli (se chiedete a Giggino, oggi che è rappresentate della Ue per il Golfo Persico, vi risponde: «Non ricordo. Di Battista chi?»).
Dibba lo sa. Appena può, in tv, schiuma perciò veleno nei confronti dell’ex sodale e poi riprepara la sacca, fedele al suo personale motto, frase cult del libro A testa in su (Rizzoli): «È la vita che nobilita l’uomo, non il lavoro».
Sebbene lui, chiusa l’esperienza parlamentare, ci abbia pure provato a trovarsi un lavoro: prima, nella piccola azienda del padre Vittorio — «Preferirei essere chiamato camerata Vittorio» — specializzata in ceramiche ramo sanitari per il bagno: però i conti erano in rosso fisso; poi tentò un’esperienza da falegname, «mestiere affascinante, ma, oggettivamente, faticoso»; infine, nell’estate di due anni fa, lo pizzico con il fotografo Claudio Guaitoli a Ortona, sulla spiaggia privata dell’hotel Katia: ombrelloni in fila per nove e una specie di chiringuito con lui vestito da barman che — mentre boccia l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi, «Dio ce ne scampi» — spiega i segreti del suo Negroni («1/3 di gin, 1/3 di vermouth rosso, 1/3 di Campari, più una spruzzata di una cosetta che conosco solo io») e annuncia l’uscita del suo ultimo reportage sull’Iran: «Sentieri persiani».
Perché Dibba viaggia. Non resiste. Il richiamo della vacanza di lavoro lo entusiasma. È stato pure in Russia. Durante la guerra. Una traversata di 13 mila chilometri in treno. Gli occhi di Dibba vedono le bugie che ci raccontiamo da queste parti. La Russia non ha invaso l’Ucraina. E Putin non è un pericoloso criminale. Soprattutto, scopre che «a Mosca non mancano le patatine fritte», e così ci spiega che le sanzioni inflitte al regime sono, di fatto, inutili.
Nient’altro da aggiungere.
Se non che i suoi ultimi post su Instagram hanno già commenti estasiati. La conferma di un pubblico fedele. Che, tra un anno, alle prossime Europee, lo voterebbe in massa (Rocco Casalino e Dibba, insieme, a Bruxelles: ci pensate?).
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