Il pressing della Lega costringe Meloni a mediare
ILARIO LOMBARDO
ROMA. Ieri poteva finire come tutti i populisti e i sovranisti italiani sognavano da tempo, compresa Giorgia Meloni. Con la riforma del Mes affossata in Parlamento e l’addio alla ratifica. D’altronde era l’epilogo che la presidente del Consiglio ha sempre auspicato, da quando era all’opposizione. Sarebbe bastato votare come aveva chiesto la Lega, alla Camera, in commissione Esteri, contro la proposta delle opposizioni, Terzo Polo e Pd, che chiede l’immediato via libera al nuovo trattato sul Meccanismo europeo di stabilità.
Con il centrodestra compatto il testo non sarebbe passato. Fratelli d’Italia invece ha preso ancora tempo e ha sfruttato la sponda che gli ha offerto il renziano Ettore Rosato per raffreddare le pulsioni anti-Mes degli alleati. Ha preso 24 ore in più, per trattare. Da una parte con la Lega, e lo sta facendo il capogruppo Tommaso Foti con il leghista Riccardo Molinari, con l’obiettivo di trovare un’exit strategy. Magari oggi, di fronte al voto richiesto e congelato da ieri, FdI uscirà, si asterrà, con la scusa di non voler bocciare un testo delle opposizioni. Dall’altra, i meloniani provano a negoziare con Pd, Terzo Polo e M5S un nuovo rinvio, per evitare la data del 30 giugno, quando la proposta di ratifica del Mes andrà in Aula.
Il Parlamento non porta buone notizie per Meloni. Le assenze di Forza Italia che hanno fatto andare sotto il governo sul decreto Lavoro in Senato sono un segnale preoccupante sulla tenuta del partito rimasto orfano del suo fondatore, Silvio Berlusconi. Ma ancora di più a Palazzo Chigi sono in ansia su come gestire quello che è accaduto a Montecitorio, dopo la lettera contenente il parere tecnico del ministero dell’Economia che certifica l’utilità del Mes. Esattamente il contrario di quello che sostengono Meloni e Matteo Salvini.
Stando a fonti di FdI, la premier sarebbe stata messa al corrente di quali potrebbero essere le conseguenze in Europa e sui mercati se decidesse di bocciare il Mes, tanto più in un giorno in cui il Tesoro scrive che tenere in vita questo strumento di soccorso finanziario avrebbe effetti benefici sullo spread. E poi il governo è ancora alle prese con le trattative su Pnrr, Patto di Stabilità e migranti. La strategia di Meloni prevede di rinviare il più possibile l’ok italiano e usare questo come arma negoziale per gli altri tavoli aperti a Bruxelles. Le sorprese di ieri e la foga leghista hanno messo a dura prova le mosse della leader di FdI, spaventata dalla prospettiva di lasciare da sola la Lega a difendere una battaglia storica della destra. Meloni sta facendo i conti con la realtà del governo. Con la contraddizione lampante che emerge con chiunque abbia a che fare con il fondo salva-Stati non più dall’opposizione (fu così anche per il M5S).
Meloni continua a dire di non aver cambiato idea, «fosse per me – sostiene – il Mes mai». E allora perché non osare? Nelle interlocuzioni tra Parlamento e Palazzo Chigi si svelano le ragioni di questa frenata, proprio mentre veniva resa nota la lettera sul Mes che porta la firma del capo di gabinetto di Giancarlo Giorgetti. Quando va all’estero, e i colleghi lo avvicinano durante i vertici, il ministro dell’Economia italiano deve soffocare tutta la sua nota schiettezza per nascondere la verità che chiunque sieda al governo conosce: il Mes andrà approvato. Si tratta solo di capire come costruire un percorso che possa minimizzare la giravolta di Meloni e del centrodestra.
La premier ha lasciato qualche traccia nelle risposte date in questi mesi, quando ha più volte ha detto di voler rimettere la decisione al Parlamento. Un’occasione poteva essere proprio il parere del Mef. E qui c’è una storia nella storia. Già a gennaio questo giornale aveva scritto che al Tesoro era in lavorazione un documento, concordato con Palazzo Chigi, che di fatto avrebbe segnato una svolta e portato al via libera del fondo salva-Stati. Per settimane non se n’è saputo più nulla, finché FdI, con l’obiettivo di dilatare ancora i tempi, ha chiesto un’opinione tecnica a via XX Settembre. La lettera è datata 9 giugno. Offre una via d’uscita, perché in teoria smonta gli argomenti di chi (Meloni in testa) pensa che gli effetti siano più negativi che positivi. Su questa base, fare in modo che il Mes passi addossando la responsabilità alle opposizioni, è uno scenario che la premier non disdegnerebbe. È già pronta la scusa: «Lo ha votato il Parlamento. E il Parlamento è sovrano». Ma Meloni non aveva ben calcolato le reazioni della Lega.
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