E ora la sinistra si accanisce su Giorgetti per nascondere le trame M5s
Il problema dell’inchiesta sui «furbetti delle dogane» è che coinvolge sì un leghista, Gianluca Pini, ma ex, per giunta lontano da Salvini. L’altro protagonista, Marcello Minenna, è invece uomo vicino al M5s, con loro è stato assessore al Bilancio a Roma, nella disastrosa giunta Raggi. Ma il M5s è un bersaglio che non eccita, è all’opposizione, poi ultimamente è anche in rapporti amichevoli con la Schlein. Bisogna invece arrivare al governo, a qualche ministro. Ed ecco allora spuntare la preda di prima classe: Giancarlo Giorgetti, ministro del Tesoro. Un target eccellente da tenere sulle braci specie in questi giorni che è già sotto pressione per la questione Mes, una bomba non ancora disinnescata dentro la maggioranza e che ruota attorno al ministero dell’Economia. Giorgetti, neanche sfiorato dall’inchiesta, è stato subito tirato in mezzo grazie alle intercettazioni, sempre utili per colpire soggetti estranei alle carte giudiziarie. Il tramite è Pini, con cui Giorgetti era in stretto contatto dentro la Lega, tanto da esserne considerato un fedelissimo. «Mi manda Giorgetti. Gli affari sporchi di Pini all’ombra del Carroccio» titola Repubblica. Nelle carte ci sono normalissime telefonate (tra cui una di «231 secondi», neanche 4 minuti, tra Giorgetti e Minenna) e soprattutto conversazioni in cui Giorgetti viene citato da altri. Si parla di un invito alla presentazione di un Libro Blu dell’agenzia delle Dogane, alla quale Minenna teneva moltissimo partecipasse l’allora ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti. «Tempesta di telefonate Pini», il quale risponde «Gli parlo io!». E Giorgetti che fa? Non ci va neppure. Altra intercettazione, che fa titolo sul Fatto, quando Pini dice che la riconferma di Minenna alle Dogane è stato «piazzato da me e Giancarlo». Ma la nomina delle Dogane non dipende dallo Sviluppo Economico, allora retto da Giorgetti, il quale anzi quando è arrivato al Mef ha fatto saltare Minenna (al suo posto è stato nominato Roberto Alesse, attuale dg delle Dogane). Ma è lui, Giorgetti, che va mascariato (schizzato di fango), come dicono i siciliani. E quindi si ricorda che anni fa Giorgetti aveva una piccola quota in una minuscola società informatica, la Saints Group di Forlì, 25mila euro di capitale, in cui c’era anche Gianluca Pini. «Giorgetti non c’entra nulla con i miei affari con le mascherine, e con la Saints Group non ha più nulla a che fare da anni» ha detto lo stesso Pini, tempo fa, quando uscì la notizia sul Domani e su Report. Non solo la società non c’entra niente con l’inchiesta, ma Giorgetti ha ceduto le sue quote tre anni fa. Nei titoli del Domani di Carlo De Benedetti è comunque «l’ex socio di Pini» nei pezzi sull’inchiesta sulle mascherine, anzi è Pini che diventa «l’ex socio di Giorgetti». Il sito Tpi va oltre e ricicla anche un vecchio articolo del 2021, tirando in mezzo pure la figlia di Giorgetti. «Negli affari di Giorgetti con il fedelissimo ed ex socio Pini spunta la figlia 18enne del ministro leghista», il titolo. L’arcano è molto semplice: nel 2020 Giorgetti aveva ceduto le sue quote alla figlia, Marta. Valore nominale: 8.000 euro. Il valore di una Panda usata, forse. Quote che poi lei terrà nemmeno per un anno, fino all’aprile 2021. Ma anche questo basta per alimentare sospetti e collegare Giorgetti, famiglia inclusa, all’inchiesta che coinvolge Pini e il «civil servant» filo-grillino Minenna. «Non è un regalo un po’ strano, una società in perdita? Dopo appena otto mesi, Marta Giorgetti si libera di ogni partecipazione, cedendo tutto all’ex socio di papà. Cosa c’è dietro questa girandola di quote?».
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