Stati uniti e India: alleanze (e dubbi) americani
La luna di miele con l’India è un esperimento promettente, se condotto con umiltà e pragmatismo. È una Repubblica federale di un miliardo e mezzo di persone, multietnica e multireligiosa, che ha conservato dall’impero britannico alcune istituzioni valide (un Parlamento modello Westminster, una giustizia indipendente, una stampa libera) e l’inglese come lingua nazionale. Ha punte di eccellenza nel software. Ha una forza lavoro giovane in un mondo che invecchia. Negli anni Sessanta, raccogliendo le impressioni da un celebre viaggio, Pier Paolo Pasolini descriveva l’India «senza speranza», condannata alla miseria. Poco dopo la rivoluzione agricola la salvò dalle carestie e ne fece una superpotenza esportatrice di alimenti. Altre rivoluzioni sono seguite fino a fare di Bangalore e Hyderabad le capitali di una Silicon Valley asiatica. Per l’Africa e il Sudamerica il modello indiano di uno sviluppo gestito da governi democratici potrebbe diventare un’alternativa al modello cinese. La prossima rivoluzione può essere l’irruzione dell’India in una nuova geometria della globalizzazione, con effetti paragonabili a ciò che fu l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001.
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