Il mondo brucia, la politica vaga nei suoi labirinti
Nello sfarinamento del centrosinistra e nel disorientamento innescato dalla pandemia, dalla guerra e poi dalla caduta dell’ennesimo governo tecnico di Draghi, gli elettori molto più banalmente hanno preferito “opzioni non testate in precedenza”, dando “una chance a chi non ha ancora deluso”. “Io sono Giorgia”, appunto, che certamente ci ha messo del suo, con un marketing politico simil-trumpiano tarato sul Make Italy Great Again. Una formula “non priva di efficacia, ma che risente del tipico approccio in cui la nostalgia per un passato immaginato, ma non autentico, si intreccia da un lato con l’eredità del passato reale, dall’altro con la promessa di prospettive brillanti poco credibili, visti i vincoli internazionali”. Questa è l’evidenza che sfugge allo sguardo miope delle classi dirigenti: a dispetto delle apparenze, il quadro politico in cui ci stiamo muovendo è assai meno consolidato di quel che sembra. Se avessero gli occhiali giusti, i patrioti si dovrebbero preoccupare, gli avversari si dovrebbero attrezzare.
La campana suona per la maggioranza, come dimostrano le fibrillazioni venefiche di questi giorni. Un vero spostamento d’opinione nel Paese non c’è stato. Le tre destre il pieno di consensi lo hanno già fatto, e una strategia di mobilitazione identitaria “non riuscirebbe ad andare oltre al perimetro” già consolidato. In politica estera, l’uscita di scena del Cavaliere aiuta a contenere la corrente filo-russa, ormai incarnata dal solo Capitano leghista. Ma ai problemi che incombono, dalla criticità della congiuntura economica al rapporto conflittuale con la Ue su Pnrr, Mes e Patto di stabilità, non serve più rispondere “con appelli identitari, miranti a marcare il territorio e a mobilitare le fasce sociali più simpatetiche” su temi di rilevanza oggettiva, come l’immigrazione, “ma che non vanno al cuore della gestione dello Stato e dell’economia”. I cittadini aspettano di vedere sciolti i nodi irrisolti della crescita, del lavoro, dell’inflazione, che verranno tutti al pettine dopo le europee del 2024. Meloni ha di fronte a sé un bivio. Può tentare davvero la metamorfosi, adottando un profilo riformista e non più antagonista, istituzionale e non più radicale, moderato e non più ideologizzato. O può cedere al richiamo della foresta, cavalcando i problemi, avvelenando i pozzi, polarizzando i conflitti. In un caso può pensare davvero a una legislatura costituente, nell’altro può soccombere velocemente.
La campana suona per le opposizioni, ancora una volta stordite dal pauroso allargamento del bacino del non voto e tradite dall’eterno tabù delle alleanze. Mucche in corridoio tanto per Elly Schlein quanto per Giuseppe Conte. Rospi che non si ingoiano con un aperitivo al bar. Secondo Itanes l’astensionismo ha devastato M5S ma ha colpito duro anche il Pd, che ha visto rinunciare al voto il 19 per cento di quanti lo avevano votato nel 2018 (quasi un elettore su cinque). La stessa cosa vale per i mancati accordi pre-elettorali. Insomma, le destre hanno vinto perché hanno mostrato “un maggior coordinamento strategico in funzione delle regole elettorali”, e perché hanno un elettorato che praticamente su tutti i fronti si presenta “omogeneo e allineato”. Viceversa, il centrosinistra ha perso perché “tutti i tentativi di coordinamento in quest’area sono sistematicamente falliti o non sono nemmeno iniziati”, e perché le sue diverse constituency politiche presentano orientamenti frammentati e “spesso contrastanti sulle questioni cruciali, a partire dal posizionamento ideologico”. Questo vuol dire che un cartello elettorale purchessia serve ma non basta, e che il famoso “campo largo” è necessario ma non è sufficiente, se mancano “legami di riconoscimento e fiducia intorno a proposte condivise”. È penoso che i primi non si cerchino e le seconde non si trovino. Con quello che sta succedendo a Mosca, sul fronte ucraino e sulle armi a Kiev non c’è più spazio per equilibrismi e “sovietismi” di sorta. Per il resto, ci sono autostrade vuote da percorrere. Dalla battaglia contro il lavoro senza tutele alla campagna contro le tasse come “pizzo di Stato”, dalla difesa della sanità pubblica al diritto allo studio, dalla modernizzazione digitale all’emergenza ambientale.
Siamo un Paese complesso. Mai davvero trasformato, forse ancora “in transizione”. Anche in politica, come del resto nella società civile, nulla è naturalmente scontato, nulla è definitivamente acquisito. Purtroppo o per fortuna, la democrazia italiana reduce dalle urne del 25 settembre resta ancora sospesa. La destra non è un destino. Ma la sinistra sarà mai in cammino?
LA STAMPA
Pages: 1 2